Il futuro ha due bellissime figlie: lo sdegno e il coraggio... Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle.
lunedì 22 novembre 2010
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domenica 21 novembre 2010
Il Pensiero Verde: Fini e i nuovi Italiani.
Il Pensiero Verde: Fini e i nuovi Italiani.: "La follia Politica di Fini non ha più confini, chi lo avrebbe mai detto che il delfino di uno dei Leader Politici del dopo guerra comunque r..."
Sempre per la mia amica Giusy !!
E’ il 1 aprile 2008. Il gup di Caltanissetta, Paolo Scotto, proscioglie il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli dall'accusa di furto, aggravato dall'avere favorito Cosa Nostra, nell'ambito dell'inchiesta sulla scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino subito dopo la strage di via D'Amelio del 19 luglio 1992.
Il non luogo a procedere è stato dichiarato dal gup in quanto l’ufficiale è stato ritenuto estraneo dalla vicenda relativa alla scomparsa del diario del magistrato in quanto “non ha commesso il fatto”.
Aspettando le motivazioni della sentenza che verranno depositate entro 30 giorni è comunque necessario un minimo di ricostruzione su questa nebulosa vicenda.
Erano i giorni della memoria per la Strage di via D’Amelio.
Neanche un anno fa il gip di Caltanissetta, Ottavio Sferlazza, rigettava la richiesta di archiviazione per le indagini sull’agenda rossa di Paolo Borsellino.
Era lì che il giudice palermitano teneva i propri appunti, forse anche quelli sull’indagine sulla strage di Capaci che tolse la vita al proprio amico, Giovanni Falcone, a Francesca Morvillo e la scorta.
E’ un fatto certo che anche il giorno della strage quell’agenda era all’interno della borsa del giudice Borsellino.
Lo ricorda bene la moglie che aveva visto riporla assieme al costume da bagno qualche ora prima.
La borsa venne trovata sul sedile posteriore, laddove Borsellino l’aveva lasciata prima di scendere e citofonare alla madre.
Alle ore 18.20 di quel 19 luglio 1992 venne iscritta a verbale. Era leggermente annerita, aperta e conteneva tutto, o quasi. Al suo interno non vi era alcuna agenda rossa.
Cosa è accaduto? Chi l’ha prelevata? Chi poteva avere interesse a non farla ritrovare?
Per anni l’ipotesi di furto rimase a carico di ignoti fino a quando gli agenti della Dia non hanno fatto irruzione nello studio fotografico di Franco Lannino, dietro segnalazione riservata.
E’ lì che hanno trovato una foto di via d’Amelio, scattata pochi attimi dopo l’esplosione.
L’immagine ritrae un uomo che, in mezzo a quel caos, teneva in mano la borsa del giudice appena ucciso.
Le perquisizioni vennero ripetute anche nelle redazioni Rai e quelle di altri emittenti, così si arrivò ad avere anche ad una serie di fotogrammi. Il soggetto nella foto è l’allora capitano dei carabinieri, Giovanni Arcangioli.
Dalle ricostruzioni emerge che la foto è stata scattata attorno alle 17.30, un’ora prima rispetto alla trascrizione a verbale.
Come mai l’Arcangioli si stava allontanando da via d’Amelio con la valigetta in direzione di via Autonomia Siciliana?
Cosa è accaduto in quel lasso di tempo antecedente al ritrovamento della borsa? Cosa è accaduto all’agenda rossa?
Rispondendo agli inquirenti incaricati dell’indagine ha riferito, in un primo momento, di non averla mai aperta e di averla consegnata a due magistrati: il dottor Teresi, oggi sostituto procuratore generale e a Giuseppe Ayala, oggi parlamentare.
Il primo ha negato decisamente l’accaduto, ricordando di essere giunto in via d’Amelio non prima delle 18.30, il secondo invece, giunto quasi immediatamente sul posto, (abitava nei pressi del luogo dell’attentato ndr), ricorda di averla notata lui stesso, la cartella di cuoio, e di averla “materialmente presa o indicata e comunque affidata ad un carabiniere in divisa”.
Successivamente Arcangioli modificò la propria versione sostenendo di aver aperto la borsa insieme ad Ayala e di aver constatato assieme che l’agenda non c’era. Affermazioni che il politico ha smentito con forza proprio durante un confronto con l’ufficiale.
A confermare la ricostruzione di Ayala c’è stata anche la testimonianza del giornalista Felice Cavallaro: “Ayala la affidò a un esponente delle forze dell’ordine in borghese e ad un ufficiale dei carabinieri in divisa senza aprirla, io non ne seppi più nulla”.
Sembrava di essere giunti ad un punto morto con il mistero sull’agenda rossa che si arenava nuovamente come tanti altri misfatti d’Italia. Tuttavia doveva essere aperto un nuovo capitolo.
Quando il 6 febbraio 2008 venne iscritto all’elenco degli indagati lo stesso Arcangioli si rianimarono le speranze dei familiari, degli addetti ai lavori ma anche di tanti italiani onesti.
Il rinvio a giudizio poteva essere l’occasione per scovare la verità ma ancora una volta si è deciso di non andare in fondo a questi fatti e ancora una volta ad attendere è la giustizia
Il non luogo a procedere è stato dichiarato dal gup in quanto l’ufficiale è stato ritenuto estraneo dalla vicenda relativa alla scomparsa del diario del magistrato in quanto “non ha commesso il fatto”.
Aspettando le motivazioni della sentenza che verranno depositate entro 30 giorni è comunque necessario un minimo di ricostruzione su questa nebulosa vicenda.
Erano i giorni della memoria per la Strage di via D’Amelio.
Neanche un anno fa il gip di Caltanissetta, Ottavio Sferlazza, rigettava la richiesta di archiviazione per le indagini sull’agenda rossa di Paolo Borsellino.
Era lì che il giudice palermitano teneva i propri appunti, forse anche quelli sull’indagine sulla strage di Capaci che tolse la vita al proprio amico, Giovanni Falcone, a Francesca Morvillo e la scorta.
E’ un fatto certo che anche il giorno della strage quell’agenda era all’interno della borsa del giudice Borsellino.
Lo ricorda bene la moglie che aveva visto riporla assieme al costume da bagno qualche ora prima.
La borsa venne trovata sul sedile posteriore, laddove Borsellino l’aveva lasciata prima di scendere e citofonare alla madre.
Alle ore 18.20 di quel 19 luglio 1992 venne iscritta a verbale. Era leggermente annerita, aperta e conteneva tutto, o quasi. Al suo interno non vi era alcuna agenda rossa.
Cosa è accaduto? Chi l’ha prelevata? Chi poteva avere interesse a non farla ritrovare?
Per anni l’ipotesi di furto rimase a carico di ignoti fino a quando gli agenti della Dia non hanno fatto irruzione nello studio fotografico di Franco Lannino, dietro segnalazione riservata.
E’ lì che hanno trovato una foto di via d’Amelio, scattata pochi attimi dopo l’esplosione.
L’immagine ritrae un uomo che, in mezzo a quel caos, teneva in mano la borsa del giudice appena ucciso.
Le perquisizioni vennero ripetute anche nelle redazioni Rai e quelle di altri emittenti, così si arrivò ad avere anche ad una serie di fotogrammi. Il soggetto nella foto è l’allora capitano dei carabinieri, Giovanni Arcangioli.
Dalle ricostruzioni emerge che la foto è stata scattata attorno alle 17.30, un’ora prima rispetto alla trascrizione a verbale.
Come mai l’Arcangioli si stava allontanando da via d’Amelio con la valigetta in direzione di via Autonomia Siciliana?
Cosa è accaduto in quel lasso di tempo antecedente al ritrovamento della borsa? Cosa è accaduto all’agenda rossa?
Rispondendo agli inquirenti incaricati dell’indagine ha riferito, in un primo momento, di non averla mai aperta e di averla consegnata a due magistrati: il dottor Teresi, oggi sostituto procuratore generale e a Giuseppe Ayala, oggi parlamentare.
Il primo ha negato decisamente l’accaduto, ricordando di essere giunto in via d’Amelio non prima delle 18.30, il secondo invece, giunto quasi immediatamente sul posto, (abitava nei pressi del luogo dell’attentato ndr), ricorda di averla notata lui stesso, la cartella di cuoio, e di averla “materialmente presa o indicata e comunque affidata ad un carabiniere in divisa”.
Successivamente Arcangioli modificò la propria versione sostenendo di aver aperto la borsa insieme ad Ayala e di aver constatato assieme che l’agenda non c’era. Affermazioni che il politico ha smentito con forza proprio durante un confronto con l’ufficiale.
A confermare la ricostruzione di Ayala c’è stata anche la testimonianza del giornalista Felice Cavallaro: “Ayala la affidò a un esponente delle forze dell’ordine in borghese e ad un ufficiale dei carabinieri in divisa senza aprirla, io non ne seppi più nulla”.
Sembrava di essere giunti ad un punto morto con il mistero sull’agenda rossa che si arenava nuovamente come tanti altri misfatti d’Italia. Tuttavia doveva essere aperto un nuovo capitolo.
Quando il 6 febbraio 2008 venne iscritto all’elenco degli indagati lo stesso Arcangioli si rianimarono le speranze dei familiari, degli addetti ai lavori ma anche di tanti italiani onesti.
Il rinvio a giudizio poteva essere l’occasione per scovare la verità ma ancora una volta si è deciso di non andare in fondo a questi fatti e ancora una volta ad attendere è la giustizia
Per la mia amica Giusy !!
Succede che il parlamento talvolta approvi cattive leggi… mi verrebbe da dire “E’ la democrazia, bellezza”, o come avrebbe detto churchill “È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”
La privacy – cioè il diritto alla riservatezza – ha un valore molto particolare per gli europei, ha un valore specialissimo in virtù della storia politica del continente. L’Europa ha infatti inventato e attivamente sperimentato tutti i totalitarismi del XX secolo. Lo Stato di polizia, nelle sue versioni fascista, nazionalsocialista o comunista, si regge sull’inesistenza di ogni barriera fra la sfera individuale, privata, e l’ambito sociale, pubblico.
Per lo Stato totalitario, letteralmente, il privato è politico: e dunque va spiato e controllato con la stessa urgenza con cui si controllano le manovre del nemico. È per questo che gli europei attribuiscono un enorme valore, e un valore persino fondante, al diritto alla privacy.
La legge sulle intercettazioni in discussione in questi giorni si propone precisamente questo obiettivo: difendere meglio il diritto alla riservatezza dei cittadini, siano essi indagati o no. È dunque, nello spirito e nelle intenzioni, una legge profondamente liberale, giusta, e sacrosanta. In Italia, infatti, le intercettazioni telefoniche molto spesso sono state usate e pubblicate indiscriminatamente non allo scopo di aiutare la ricerca della verità, ma al fine di distruggere la vita privata dell’indagato e il suo profilo morale.
In questo modo però il tribunale dell’opinione pubblica, che in democrazia è l’istanza più alta, non viene chiamato ad esprimersi in base ai fatti, ma esclusivamente secondo l’umore, il gusto e la morale. Tizio è omosessuale, Caio va a puttane, Sempronio ha due amanti – così si articolano, simbolicamente e materialmente, le inchieste italiane (che troppe volte, va aggiunto, si concludono con un nulla di fatto).
La pubblicazione di intercettazioni che niente hanno a che fare con i reati oggetto di un’indagine, contrariamente a quanto sostengono i mozzaorecchi di Repubblica e del Fatto, non c’entra nulla con il diritto all’informazione ma, al contrario, lede profondamente quel diritto perché inganna il cittadino intorbidando le acque, mescolando il piano giudiziario – il solo di cui un magistrato sia titolare – con la sfera personale, intima, privata degli imputati. Regolamentare la pubblicazione degli atti giudiziari (“per riassunto”, come dice la legge) è dunque un rafforzamento, e non un indebolimento, del diritto all’informazione. La Fnsi, se avesse un’idea anche vaga dei principi dello Stato liberale, non potrebbe non essere d’accordo.
Resta da considerare l’impatto che la nuova legge avrà sulle indagini e sui processi, presenti e futuri. La riduzione a 75 giorni (più 3 di proroga) del termine massimo per un’intercettazione è ragionevole e in linea con il resto dell’Occidente; per i reati di mafia e terrorismo non cambia nulla; nessun reato per cui era già prevista la possibilità di intercettazione è stato cancellato, e alla lista è stato aggiunto lo stalking; tutte le intercettazioni compiute restano valide per tutti i processi in atto.
Si sarebbe potuto fare meglio? Senz’altro. Ma francamente è difficile trovare in queste norme le tracce del “bavaglio” alla magistratura e alla stampa di cui parlano gli esagitati. Ha piuttosto ragione Fini: il compromesso è onorevole, il diritto alla riservatezza è rafforzato, la legalità è rispettata, la lotta alla criminalità non viene indebolita. Il resto è cattiva propaganda di un’opposizione senza idee.
Oggetto: La Regione in "rosso"
Il Governo ha fornito alla Regione Emilia Romagna circa 15 milioni di euro per investimenti in sanità. E’ il tesoro che la Regione si è trovata a disposizione a Ottobre e che provvederà ad incrementare con altri 800 mila euro di risorse proprie. Fin qui tutto più che positivo così tantisoldi forniti dal Governo alla nostra Regione chissà quanto arriverà ll’Ospedale di Parma, invece no…. La fetta più grossa andrà all’Istituto Rizzoli di Bologna, che complessivamente incasserà più di 5 milioni di euro, più circa 270 mila euro dalla Regione. Poco meno di 5 milioni andranno all’Ausl di Rimini, più altri 250 mila dalla Regione. L’Ausl di Ferrara, invece incasserà più di 4 milioni, più 210 mila euro a carico della Regione. L’ultima beneficiaria di questi soldi ed interventi è l’Ausl di Modena con circa 1 milione dallo Stato più 75 mila euro dalla Regione.
Bene, come penso voi saprete, la parte più “rossa”, come l’amministrazione della Regione, è quella della Romagna, quindi proprio da Modena fino a Rimini, città come Reggio Emilia, Piacenza e Parma sono state brutalmente snobbate. Questo già dovrebbe far pensare, però mi permetto di aggiungere una notizia per farvi capire come si comporta l’amministrazione regionale.
Il Direttore Generale dell’Ospedale di Parma, Leonida Grisendi, è l’ex Assessore alla Sanità della Regione Emilia Romagna. Una delle prime cose dette dal Direttore Generale è stata che non essendoci soldi in Regione sarebbe stato costretto a fare dei tagli, al personale ed ai servizi forniti. Mi viene da chiedermi quindi una cosa… nessuno dice che le motivazioni per cui i soldi siano andati agli Ospedali sopracitati siano motivazioni sbagliate, anzi, ma possibile che di quasi 16 milioni disponibili tra Stato e Regione non ci sia stata la possibilità di avere un pò di fondi anche per gli Ospedali di Parma, Reggio Emilia e Piacenza? Possibile che sia un caso oppure la Regione “rossa” sapendo che queste tre città sono o stanno diventando di un altro colore preferiscono tenersi i soldi per le loro figliocce? L’Ospedale, di qualsiasi città della nostra Regione, dovrebbe fornire servizi ai cittadini in modo pressoché uguale, con le stesse possibilità e con le stesse caratteristiche, invece grazie a questa gestione malsana dell’amministrazione regionale una persona deve prima guardare in che città abita e poi di conseguenza sapere se potersi curare a casa sua o dover andare in altre sedi tenendo poi conto che l'Ospedale di Parma è fra i primi per importanza in molti reparti, dando una copertura oltre che anche a Piacenza e Reggio Emilia, ma anche a buona parte del nord. Eppure le tasse le paghiamo tutti e i soldi li gestisce il Sistema Sanitario Nazionale.. lo stesso che fornisce i soldi alla Regione e che quest’ultima gestisce come crede aiutando solo gli “amici”.
da LEGA NORD TRAVERSETOLO
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