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sabato 3 dicembre 2011

Giulietto Chiesa: con Monti, tutti più poveri entro 2 anni

Il programma Napolitano-Monti porterà l’Italia in recessione. Da qui a due anni (se Monti regge per due anni), l’Italia sarà in recessione: lo dicono i dati europei di oggi, li ho letti sul “New York Times”. Finora abbiamo parlato della politichetta italiana, ma il partito numero uno, in Italia, è quello della gente che non va a votare: gente che sarà protagonista della crisi, sottoposta al programma di Monti che è la realizzazione della lettera di Draghi e Trichet che ci impone di ridurre il nostro reddito del 20%. Mario Monti è un uomo della Trilaterale, del Bilderberg, dei grandi centri di potere. E’ stato uomo della Goldman Sachs, che ha gestito per lungo tempo. Quest’uomo non viene qui per fare la riforma elettorale, ma per fare quello che hanno deciso Trichet e Draghi. Ci farà sudare lacrime e sangue. 

Berlusconi è stato travolto da una crisi più grande di lui e probabilmente più grande di noi messi insieme. C’è un nuovo sistema di potere: è la finanza mondiale che arriva al governo degli Stati europei, direttamente. Come in Grecia, viene un uomo della grande finanza, imposto con la scusa del debito. Ma il debito non va pagato: questo è un debito illegale, iniquo, che è stato costruito per una larga parte – parlo dei quasi 2.000 miliardi del debito italiano – dalle classi dirigenti italiane che non hanno fatto pagare le tasse ai ricchi. Noi abbiamo, nel nostro debito, 750 miliardi che sono i soldi investiti dalle banche estere sui nostri Bond: questa è speculazione pura. 

Noi abbiamo già dato, a queste banche e alle banche occidentali in generale, tutto quello che avevano speso. Le abbiamo già ricapitalizzate. Adesso arriva Monti e ci fa ricapitalizzare un’altra volta le banche europee: altri 4.000 miliardi, oltre ai 16 trilioni di dollari che la Federal Reserve ha regalato tra il 2007 e il 2010 a tutte le banche occidentali. Quanta gente sa che 16 trilioni, cioè 16.000 miliardi di dollari, sono andati a tenere in piedi artificialmente l’intero sistema finanziario dell’Occidente? A tasso zero, gli sono stati dati. Perché? La spiegazione è una sola sola: perché tutte le banche erano fallite, nel 2007. Noi le abbiamo tenute in piedi e adesso ci chiedono di tenerle in piedi ancora. Ci dicono che dobbiamo rispettare il mercato? Ma le leggi del mercato le hanno violate loro, salvando le banche fallite. 

Noi siamo il paese europeo più virtuoso per quanto riguarda il debito privato. Il 42% del prodotto interno lordo italiano è il debito privato, mentre in Francia è il 53%, in Germania il 63%, in Spagna l’84% e in Gran Bretagna il 103%. Se noi facciamo la somma del debito privato e del debito pubblico, l’Italia sta molto meglio di quasi tutta l’Europa, eccetto la Germania. Domanda: come mai, improvvisamente, la questione del debito esplode sull’Italia? Come mai nessuno solleva il problema del debito della Gran Bretagna? O degli Stati Uniti d’America, che hanno 14,3 trilioni di debito? 

Quello che sta accadendo è un gigantesco trucco, organizzato in sede europea dai grandi centri della finanza mondiale, che determinano tutto quello che sta avvenendo. Io mi dichiaro fin da ora all’opposizione delle indicazioni della Bce e dell’Europa. E aggiungo: il 17 dicembre ci sarà la prima grande manifestazione del comitato No-Debito: vogliamo costruire un grande movimento che dica che questo debito non si deve pagare e che la sovranità dell’Italia deve tornare nelle nostre mani. 

(Giulietto Chiesa, dichiarazioni rilasciate l’11 novembre 2011 alla trasmissione “L’ultima parola”, condotta su RaiDue da Gianluigi Paragone).

La Cgil: 3000 sedi in tutta Italia e neppure un euro di Ici


Altro che Vaticano. I sindacati vantano un patrimonio immobiliare immenso, ma non pagano un solo euro di Ici. Questo grazie ad una legge, la numero 504 del 30 dicembre 1992 (in pieno governo Amato), che di fatto impedisce allo Stato italiano di avanzare richieste ai sindacati. E i soldi sottratti, o meglio non percepiti, dalle casse statali sono davvero tanti: la Cgil, ad esempio, sostiene di avere circa 3mila sedi in tutta Italia, ma si tratta di una specie di autocertificazione, in quanto i sindacati non sono assolutamente tenuti a presentare i loro bilanci. Solo un altro dei tanti privilegi dell’”altra Casta”, come è stata brillantemente definita dal giornalista dell’Espresso Stefano Liviadotti, che con tale formula ha dato il titolo al suo libro/inchiesta sulla Triplice.
Se la Cgil dichiara 3mila sedi, la Cisl addirittura 5mila. E la Uil sarebbe in possesso di immobili per un valore di 35 milioni di euro.
La legge, però, paragona in modo del tutto immotivato i sindacati alle Onlus, ossia alle organizzazioni di utilità sociale senza scopo di lucro.
Senza scopo di lucro? I sindacati? Un paradosso.
Ma c’è di più. Cgil, Cisl, Uil, Cisnal (poi diventata Ugl) e Cida hanno ereditato immobili dai sindacati del Ventennio fascista, senza dover pagare tasse. Tutto secondo legge, in questo caso la 902 del 1977, che con l’articolo 2 disciplina la suddivisione dei patrimoni residui delle organizzazioni sindacali fasciste.
Non c’è da stupirsi: soltanto nella scorsa legislatura, 53 deputati e 27 senatori, quindi 80 parlamentari in totale, provenivano dalla Triplice. Logico che in parlamento si facciano leggi “ad personam”, o meglio ad usum sindacati.
I regali più importanti, inutile dirlo, arrivano però sempre quando al governo c’è una coalizione di centro-sinistra.
Eccone alcuni: nel maggio 1997 il governo Prodi, per iniziativa del ministro della Funzione pubblica, Franco Bassanini, ha tirato fuori dal cilindro la legge 127, la quale grazie all’articolo 13 libera le associazioni dall’obbligo di autorizzazione nelle attività e nelle operazioni immobiliari. Con la finanziaria del 2000 vengono invece istituiti fondi per la formazione continua gestiti da sindacati e associazioni degli imprenditori. Ancora con il governo Amato, nel 2001 è fissato l’importo fisso per i patronati calcolato su tutti i contributi obbligatori versati da aziende e lavoratori agli enti.
Attraverso i patronati, i Caf (Centri di assistenza fiscale) e le deleghe sindacali sulle pensioni giungono fiumi di denaro nelle casse dei sindacati. Un meccanismo infallibile: i patronati si occupano di previdenza, richieste di aumento e pratiche di invalidità. E per ogni pratica l’Inps rimborsa. L’assistito del patronato è però logicamente anche un potenziale cliente dei Caf: i Centri di assistenza fiscale, nati ovviamente con la sinistra al governo (Amato, anno 1992), compilano le dichiarazioni dei redditi e le spediscono via internet all’Inps. Ad ogni spedizione corrisponde un rimborso, anche se i costi sono pressoché azzerati.
In soccorso dei Caf è arrivato persino il decreto legislativo 241 del 1997, governo D’Alema, che concedeva loro l’esclusiva sulla verifica dei dati inseriti sui 730. Costringendo il Ministero delle Finanze a elargire un rimborso per ogni 730 inviato dai Caf.
Peccato che tale decreto sia stato “bastonato” nel 2006 dalla Corte di Giustizia Europea, senza che nessun quotidiano nazionale sempre attento alle sanzioni europee ne abbia dato notizia. Ma su internet la notizia si trova.
Alla fine le entrate che derivano dai tesseramenti, la cui revoca è pressoché impossibile, sono quelle meno importanti.
Allora, i sindacati davvero meritano agevolazioni fiscali?

lunedì 28 novembre 2011

Grane per Soru con i collaboratori dell'Unità !!! Lui risponde "meglio chiuderla"


"Sono azionista con grandissimo sacrificio economico. Non vedo l'ora che qualcuno la compri. Sono andato a chiederlo con molta insistenza in tante occasioni". Renato Soru, intervenuto al seminario di formazione per giornalisti di Redattore Sociale a Capodarco di Fermo e intervistato dal direttore di Radio 3 Marino Sinibaldi, parla così de l'Unità, giornale di cui è editore dal 2008. Nella sala una giornalista free lance chiede all'ex presidente della Sardegna perché il quotidiano non paga i collaboratori. Prima Soru dice che non è così. Poi interviene il presidente dell'Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino e afferma: "C'è qualcuno che non le dice tutto...". A quel punto, imbarazzato, il numero uno di Tiscali risponde: "Se ci sono collaboratori che non percepiscono lo stipendio e che hanno scioperato da ottobre me ne scuso come azionista. Questo le dà il segno di un giornale che soffre la difficoltà di andare avanti. Si potrebbe prendere in considerazione anche l'ipotesi di chiudere"