così il Pd ha sperperato un patrimonio culturale e sociale. Un rituale che durava da 70 anni
Sono state le feste dell’Unità a dare di più al partito e non viceversa. Parola di Ugo Sposetti, deputato Pd ed ex tesoriere dei Democratici di sinistra, intervistato da Anna Tonelli nel capitolo conclusivo di Falce e tortello. Storia politica e sociale delle feste dell’Unità (1945 - 2011) (Laterza, pagine 226, euro 15 ).
Il Pci aveva investito fin da subito «nelle proprie feste, considerandole un patrimonio da valorizzare». Ma alla fine aveva più ricevuto che dato. E se oggi quelle manifestazioni, quei rituali politici che sono stati per decenni una presenza centrale nella vita politica e culturale del Paese non esiste più è perché la sinistra ha smarrito la forza aggregante e la carica utopistica che ha segnato le generazioni della seconda metà del Novecento. Salamelle e partigiani, ballo liscio e pugni chiusi, cantautori e operaismo, militanti alle cucine e «il comizio finale del segretario »: un universo politico, culturale e sociale di cui bisogna parlare al passato.
C’erano l’orgoglio comunista, «la madre Russia », la militanza popolare, le sezioni.E c’erano le feste dell’Unità dove passavano tutti, cantautori e rockstar, politici e giornalisti, gente di sinistra, gente d’avanguardia e qualsiasi. Tutto finito, tramontato. Dal 2008, èra Veltroni, pur con molte resistenze la festa dell’Unità è stata trasformata in Festa democratica. Ma la metamorfosi era già iniziata con la riduzione della durata ( da due settimane a dieci giorni) e l’abolizione del comizio conclusivo, sostituito, «in ossequio alle regole del talk show», da un’intervista del segretario a un giornalista televisivo.
Campione rappresentativo, microcosmo emblematico, spaccato movimentista: è una scelta indovinata passare sotto la lente della ricerca le feste dell’Unità per raccontare la parabola del comunismo militante italiano, i suoi momenti di aggregazione sociale oltre la «fede rossa», fino al declino di oggi. Dal primo a Mariano Comense, 2 settembre 1945, quando si chiamò «scampagnata», agli ultimi, non più intitolati alla testata fondata da Gramsci,«i Festival dell’Unità », secondo la definizione di Alberto Moravia, «hanno il vantaggio di combinare in sé tre idee: quella della festa cattolica, quella del Soviet e quella della modernità ». L’intuizione originale è unire passione politica e svago. Già nelle Lezioni sul fascismo Togliatti insisteva sulla necessità di comprendere il divertimento fra i legittimi «bisogni elementari delle masse ». «Lavorare per la costruzione del palco che ospita il comizio», scrive Tonelli, «così come cucinare tortellini e salsicce rivestono la stessa importanza in una festa dove si consuma pane e politica».
Falce e tortello è un titolo che sarebbe piaciuto a Edmondo Berselli, autore a sua volta di un’accorata narrazione del declino di quel mondo ( Sinistrati. Storia sentimentale di una catastrofe politica - Mondadori), ma soprattutto testimone felice delle contaminazioni tra ideologia e leggerezza (con una disincantata preferenza per la seconda).
L’equilibrio fra tradizione e spinta alla modernizzazione è la stella polare delle estati della sinistra. Nel dopoguerra le feste raccolgono il «bisogno di evasione ritrovato », la componente politica è in secondo piano, dietro i canti, il cibo, le lotterie, i balli. Le canzoni dei campi e delle fabbriche riempiono le serate. Fino ai primissimi festival di Sanremo e all’avvento del beat. Con tanto di interrogativi se, dopo Claudio Villa e Nilla Pizzi, invitare Modugno, Celentano, Morandi avrebbe significato aprire le porte alla «canzone americana degenerata». Arriva il boom economico e alle pièce di Brecht sul Terzo Reich con la compagnia di Gian Maria Volonté segue la visione de Il sorpasso di Dino Risi. Le donne alzano la voce e chiedono più spazio nella divisione dei compiti dentro il partito. I giovani vogliono contare di più e nascono le feste della Fgci. Il Pci aumenta i consensi e le feste attecchiscono nelle province. Gli anni ’70 coincidono con l’affermazione dell’egemonia culturale. Al cinema, a teatro e nella musica: dove esplode l’epopea dei cantautori, nuove star delle serate live .
A fine decennio s’affaccia la cultura dell’effimero, nasce la tv commerciale, alla militanza subentra il riflusso, la disco music invade i locali e nell’estate ’87 gli organizzatori del Festival tentano di organizzare il concerto di Madonna a Bologna per poi ripiegare su Zucchero, Vasco Rossi, Dalla e Guccini. Due anni dopo crolla il Muro di Berlino, scompare il partito comunista e le feste dell’Unità perdono l’orgoglio degli anni migliori trincerandosi nelle roccaforti della Toscana e dell’Emilia Romagna.
Torna alla mente una fulminante vignetta di Altan: «Ma io sono di sinistra», dice Cipputi, interlocutorio. «Piantala, che ci stanno guardando tutti», lo fredda il compagno saggio.