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venerdì 4 marzo 2011

Un pò di sana e costruttiva filosofia di Sinistra !!!


Santoro contro la Rodotà . La sinistra si scanna su Bmw e vino francese.
Meglio lo champagne bianco o rosé? Meglio la seta o il cachemire? Meglio Saint Moritz o Saint Tropez? Meglio la tartare o il pâté de foie gras? Poi dicono che la sinistra non sa discutere: le solite cattiverie. Basta leggere il serrato dibattito fra due degli intellettuali di punta della cultura progressista italiana, Michele Santoro e Maria Laura Rodotà, per capire che nel profondo dell’animo democratico ci si interroga con rigore. Magari ci si dimentica di porre alcune questioni marginali, del tipo: che sviluppo economico vogliamo? Quale sarà la nostra politica estera? Quale sarà la nostra politica sull’immigrazione? Ma, ecco, sui temi importanti che lacerano le coscienze ci si accapiglia con passione. Per esempio: meglio il salmone selvaggio scozzese o quello norvegese? Come risolvere l’antico dualismo gastro-nipponico fra Zuma e Nobu? Il Brunello di Montalcino vale più del Barolo? E soprattutto: meglio il Bordeaux Cheval Blanc o una verticale di Château Mouton?
Peccato che non ci siano più i Quaderni piacentini, altrimenti se ne poteva fare anche un numero speciale. Magari con un bel saggio di Goffredo Fofi o Asor Rosa. Il tema, si capisce, è di quelli che appassionano le masse operaie: ad aprire le danze Maria Laura Rodotà, intellettuale di sinistra, figlia di intellettuale di sinistra e cocca degli intellettuali di sinistra, che ha scoperto non senza un po’ di sgomento di essere d’accordo con il Giornale: «Signora mia, che cosa mi sarà mai successo?», avrà pensato, schifata da se stessa. E poi, superato la schifo, ha avuto la brillante idea di guadagnarsi la giornata al Corriere della Sera senza rovinare il suo Chanel n. 5 con il sudore della fronte. E dunque ha ricopiato l’articolo con tanto di rigorosa citazione, che fa fine e non impegna.
L’articolo in questione prendeva di mira gli intellettuali di sinistra, pasdaran della scuola pubblica, che mandano i loro figli nei più esclusivi istituti privati. Titolo del pezzo: «Il genitore progressista e la scuola status symbol». Esecuzione modesta, quel tanto che basta per dare l’idea che lo stipendio non è del tutto rubato. Il fatto è che fra i due o tre esempi citati dalla Rodotà (senza nomi e cognomi, per carità: citare nomi e cognomi non è chic, al massimo è giornalismo) tira in ballo «il conduttore tv» che iscrive la figlia «alla scuola francese della Roma benissimo». Non l’avesse mai fatto. Bastano quelle due righette anonime per scatenare una reazione smodata del «conduttore tv» con la coda di paglia: Michele Santoro, che ormai soffre di un evidente prolasso verbale, verga una lettera lunga quattro colonne per smentire, cuore di papà, che la scuola francese della figlia sia privata (?!) pur ammettendo che essa è costosa (?!). Ma anziché limitarsi a replicare sulla questione della scelta scolastica (fatta, dice, «senza rimorsi» e con «spavalda determinazione»), babbo Santoro accende il dibattito come fosse una puntata di Annozero. E pone, per l’appunto, alcune questioni fondamentali per l’uomo di sinistra: posso continuare a bere Bordeaux? Posso usare la mia Bmw? E soprattutto posso farlo senza sentirmi «in contrasto con le mie convinzioni»?
Ora è chiaro che uno che ha la «spavalda determinazione» di pagare una retta salata a una scuola statale solo perché è statalmente francese, può fare di tutto. Del resto Santoro deve avere risolto da tempo il contrasto con le sue convinzioni pauperiste, almeno se è lo stesso Santoro che non disdegna di farsi vedere alle sfilate di moda milanesi nel parterre extralusso di Giorgio Armani. Ma il dibattito, ormai, è lanciato. E, dopo la breve risposta di Maria Laura Rodotà, ci aspettiamo dunque i prossimi interventi, da Gad Lerner a Umberto Eco, da Moni Ovadia a Carmen Llera Moravia, il gotha dell’intellighentia di sinistra, insomma, tutti a porsi le domande fondamentali per la nostra esistenza: champagne Dom Pérignon o Perrier-Jouët? Cravatte Marinella o Hermès? È ancora trendy farsi fare le scarpe da John Lobb a Londra? È ancora chic andare a Saint Moritz dopo che c’è stato pure D’Alema? E se la risposta è sì: alla sera meglio festeggiare al Dracula o al King’s Club? Meglio i sarti inglesi o quelli napoletani? E come schierarsi di fronte alle nuove frontiere del design culinario di Anna Coquet e Delphine Huguet? La cucina molecolare è eterna o è già finita? Che ne pensate di Ferrán Adriá? E della provocazione gastronomica del maestro Yoshihiro Narisawa alla recente rassegna Paris des Chefs?
Temi interessanti, discussione intensa. Certo: magari davanti ai cancelli di Mirafiori non riusciranno a cogliere tutte le sfumature di rosé, magari i disoccupati e i precari non ce la faranno ad apprezzare la profondità della riflessione aperta da Santoro-Rodotà. Ma che ci volete fare? Gli intellettuali di sinistra sono fatti così: quando decidono di andare a fondo nelle questioni, non li ferma più nessuno. Vanno a fondo. Ma proprio in fondo in fondo. Manco fosse una fondue bourguignonne.

giovedì 3 marzo 2011

Se anche Provenzano ed Hitler firmano per le dimissioni di Berlusconi.

Se fosse una barzelletta sarebbe divertente. Peccato che di barzelletta non si tratta, e più che ridere viene da piangere.
Sul sito del PD raccolgono le firme per cacciare Berlusconi, bene, poco fa, un amico del nostro blog, Edmir Lacka, ha firmato col nominativo di Adolf Hitler, residente al numero 4 di Tiergartenstrasse, 10178 Berlino. Pochi istanti dopo, come prova lo scrennshot, il suo 'nome' era nella lista. Poi ha firmato come Bernardo Provenzano.
Anche lui risulta regolarmente tra i firmatari.
La credibilità di questa raccolta firme è nulla.
ah! Ovviamente anche Silvio Berlusconi ha firmato per le sue dimissioni!
 
Ridicoli. !!

Cade il sindaco Iervolino, non ha più la maggioranza in Consiglio Comunale.

Nella mattinata di il centrodestra aveva raccolto una trentina firme per la mozione di sfiducia al Sindaco, mozione che doveva essere discussa non prima di 10 giorni e non oltre 30 secondo quanto previsto dal regolamento.
Alla richiesta di dimissioni la Iervolino aveva dichiarato: «Rassegnare le dimissioni sarebbe una comoda via di fuga». Ma ecco arrivare il colpo a sorpresa, trentuno consiglieri dell'opposizione e sette della maggioranza presentano la lettera di dimissioni: è scioglimento. Ovviamente questa iniziativa rende superflua la mozione di sfiducia, in pratica si avviano le procedure per il commissariamento del Comune di Napoli e per l'uscita di scena del sindaco Rosa Russo Iervolino in carica dal marzo 2001.
Cara ex sindaco, non sono napoletana, ma credo di parlare a nome di tutti i napoletani quando dico che nessuno sentirà la tua mancanza.

Uso del corpo femminile su Repubblica: Striscia la Notizia attacca il quotidiano.

"Il corpo delle donne 2", video prodotto da Striscia la Notizia e mandato in onda da Matrix, attacca 'la stampa progressista' Repubblica e L'Espresso accusando di sminuire l'immagine femmminile. Il video prende spunto dal documentario di Lorella Zanardo "Il corpo delle donne" che denunciava come la televisione italiana facesse un uso mortificante della figura femminile. Nel video di Striscia troviamo immagini tratte da Repubblica e l'Espresso: immagini pubblicitarie, video sexy e di backstage di calendari. 'Per Repubblica le donne sono oggetti da mettere in vetrina come oggetti di un supermercato', è un passaggio della clip fatta da Antonio Ricci. Tra le accuse: su Repubblica.it si poteva votare in un sondaggio la Miss Italia preferita, potendo addirittura scegliere tra le concorrenti minorenni'. Ma Natalia Aspesi di Repubblica non ci sta e replica così al Patron di Striscia: 'Documentario messo insieme con rozzezza e mistificazione da chi ha iniziato in televisione, tanti anni fa, con Drive in, a sezionare le donne in sederi e seni e sorrisi mercificati e ridicolizzati'.    Il Tg satirico scende in piazza e chiede alle donne di commentare delle pagine tratte dal quotidiano La Repubblica. Il risultato? Una condanna unanime della raffigurazione del corpo femminile sulle pagine del quotidiano di Ezio Mauro. Ecco alcune dichiarazioni di donne interpellate riportate dal sito di Striscia.
 PAOLA BALDUCCI, POLITICA E GIURISTA ITALIANA :"Io penso che siamo arrivati molto in basso. Un aggettivo? Questa non è la donna che noi vogliamo per la quale tanti anni abbiamo combattuto".   ANNA FINOCCHIARO, CAPOGRUPPO AL SENATO DEL PD: "Penso che non mi piace affatto. È un modo per ricondurre le donne all'archetipo di quegli esseri così graziosi che allietano la vita. Io non sono una bacchetto ma francamente se qualcuno pensa che la donna italiana è quella li, se c'è uno solo che si può sbagliare sull'identificazione tra donna italiana e quello che può vedere sui giornali, allora è sbagliato!"   SERENA DANDINI, CONDUTTRICE TV: "Penso che ormai siamo quasi?no, non siamo più abituate veramente, stavo per dire quasi abituate, invece no, non ci abitueremo mai".   ROSY BINDI, PRESIDENTE PD E VICE PRESIDENTE DELLA CAMERA: "Si commentano da sole. Credo che sia un modo come un altro per ridurre in maniera sbagliata la donna a una sua dimensione e rendere oggetto il corpo della donna".   FRANCESCA IZZO, DOCENTE UNIVERSITARIA: "Questo è uno dei segnali del disprezzo che in questo paese è stato alimentato nei confronti delle donne".  LIVIA TURCO,DEPUTATA DEL PD: "Sono oscene, oscene".   LUNETTA SAVINO, ATTRICE: "Fanno il business, che vuoi dire. Fanno il business sui culi delle donne. E' offensivo. Basta! Basta! Le donne non devono dover mostrare il sedere".  
E Striscia promette per i prossimi giorni la pubblicazione di altri pareri...

8 marzo? Un falso comunista-femminista.

  Ci hanno fatto credere che “l’8 marzo 1908 un gruppo di donne si riunirono nella filanda tessile Cotton di New York per dichiararsi in sciopero. Il padrone le chiuse a chiave e l’edificio prese fuoco: morirono 129 donne”. Nulla di tutto ciò è mai accaduto. Nessuna fabbrica prese fuoco e nessuna donna morì bruciata l’8 marzo 1908. Quando la verità storica emerse, si tentò di retrodatare l’origine della festa all’8 marzo 1857. Anche questo è risultato essere un falso storico. Quindi, ad una carica della polizia contro donne in sciopero l’8 marzo 1848. Anche questo è risultato essere un falso storico. Nella realtà la festa dell’8 marzo è una stata imposta dal comunista Vlamidir Lenin e dalla femminista Alexandra Kollontai per far credere alle lavoratrici di essere state liberate dalla schiavitù capitalistico-patriarcale. La festa venne poi ufficializzata dal Soviet Supremo “per commemorare i meriti delle donne Sovietiche nella costruzione del Comunismo”. In Italia, la festa venne introdotta nel 1922 dal Partito Comunista che pubblicò sul periodico “Compagna” un articolo secondo il quale Lenin proclamava l’8 marzo come “Giornata Internazionale della Donna”. La festa cadde in disuso, e venne reintrodotta l’8 marzo 1945 dall’UDI, una organizzazione composta da donne appartenenti al PCI e ad altri partiti di sinistra. Fu nel dopoguerra che venne fatta circolare la falsa storia delle donne bruciate. In Italia il simbolo è la mimosa; in paesi con climi più freddi il simbolo è un nastro viola, in quanto è stato fatto credere che le inesistenti lavoratrici bruciate producevano panni viola. Nella realtà storica, esiste una vera violenza contro donne ed un vero incendio accaduti l’8 marzo. Del 2000, quando un gruppo di femministe coperte da passamontagna diedero fuoco a croci in una Chiesa, vandalizzandone le mura e l’altare con graffiti che proclamavano “No Dio, no padroni” e con assorbenti sporchi e con preservativi, distruggendo inni e testi sacri, buttando giù altre donne anziane colpevoli di essere contrarie all’aborto.

martedì 1 marzo 2011

Ricordate il tredicenne reclutato per attaccare Berlusconi colpevole di distruggere la scuola pubblica !?

Ricordate il tredicenne, il bambino comiziante figlio dei genitori militanti, che attaccava Berlusconi sul palco del PalaSharp colpevole di “distruggere la scuola pubblica”? Ecco, sapete dove studia? In una scuola privata. Il ragazzino ha puntato il dito contro il governo perché «parla di scuola pubblica solo per tagliarne i fondi», bene, Giovanni studia al San Carlo, carissimo istituto privato di Milano.
 Sapete dove studiano i figli di Anna Finocchiaro? In una scuola privata. Sapete dove studia la figlia di Giovanna Melandri? In una scuola privata. Sapete dove studiano le figlie di Francesco Rutelli? In una scuola privata.
Sapete dove studia il figlio di Nanna Moretti? In una scuola privata. Sapete dove studiano i nipoti di Fausto Bertinotti? In una scuola privata. Sapete dove studia la figlia di Santoro? Non indovinerete mai...in una scuola privata!

Le solite contraddizioni della sinistra, tutti pronti a manifestare e scendere in piazza, ma quando si tratta dei propri figli le ragioni dell’educazione prevalgono su quelle dell’ideologia e guarda caso li iscrivono tutti alle contestate scuole private.
Patetici.

lunedì 28 febbraio 2011

Quando Gheddafi disse a Prodi: «Voglio ringraziare mio fratello Romano».

Ma che faccia tosta, per non dire di peggio. Gli attacchi dell'opposizione al presidente del Consiglio, accusato di cedevolezze nei confronti di Gheddafi, che oggi tutti scoprono essere un sanguinario dittatore africano, sono un capolavoro insuperabile di spudoratezza e farisaismo. Quando si parla di rapporti politici con Gheddafi, il centrosinistra italiano dovrebbe soltanto tacere. Sono i stati i governi Prodi, D'Alema e Amato a intraprendere senza esitazioni la strada della trattativa con Gheddafi, isolato internazionalmente dopo l'attentato di Lockerbie, e negli anni gli esponenti di quei governi e delle forze politiche che ne facevano parte si sono vantati della bontà delle loro iniziative. Gheddafi in persona sembrò apprezzarle quando il 27 aprile del 2004, nella prima visita in Europa dopo la fine dell’embargo Onu contro la Libia - riabilitata anche grazie agli sforzi compiuti dall’ex premier italiano - dichiarò rivolgendosi a Prodi, divenuto nel frattempo presidente della Commissione Ue: «Voglio esprimere la mia gratitudine a mio fratello Romano». E di rimando quello commentò: «Oggi è un grande giorno per l’Europa». 
«La stampa straniera», sottolineò Giulio Santagata, stretto collaboratore dell'ex presidente ulivista del Consiglio «aveva bollato l’apertura di Prodi a Gheddafi come una iniziativa sconsiderata e incomprensibile, un passo falso. Oggi credo che qualcuno dovrebbe rendere merito alla lungimiranza di Prodi». Scrive ilvelino.it che «i buoni rapporti tra Tripoli e i governi italiani, compresi quelli di centrosinistra, conobbero un altro apice con la vittoria di misura ottenuta da Prodi contro Silvio Berlusconi nel 2006: Gheddafi chiamò il Professore per congratularsi, il neopremier ricambiò la cortesia con una visita in Libia datata 8 settembre. Quella sera Gheddafi offrì a Prodi una cena a base di montone e altre specialità locali, innaffiate con the alla menta, coca cola e birra analcolica. Nel 2008, quando Berlusconi siglò a fine agosto con Gheddafi il trattato di amicizia italo-libica frutto di un lungo lavoro diplomatico, un ex fedelissimo di D’Alema come Marco Minniti avocò buona parte dei meriti alla sua parte politica: “Fu il governo Prodi il primo a dialogare con Gheddafi. E il primo ministro europeo a fargli visita ufficiale nel 1999 fu D’Alema”». Il trattato di amicizia tra Italia e Libia, per chi lo avesse dimenticato, ha ottenuto anche il voto a favore del Pd, compreso il protocollo che regola il pattugliamento congiunto delle acque fra la Libia e la Sicilia per prevenire gli sbarchi di emigranti clandestini. E non a caso: l’intesa sulla materia era già stata firmata a Tripoli il 29 dicembre del 2007 da Massimo D'Alema, ministro degli Esteri dell'allora governo Prodi. Nel giugno 2009, in occasione della prima visita ufficiale di Gheddafi in Italia, il Pd si è spaccato: la maggioranza dei senatori del gruppo non volle che il colonnello parlasse in Senato, ma Nicola Latorre, Massimo D'Alema e Franco Marini erano favorevoli. Poco prima della visita in Italia la Facoltà di Giurisprudenza dell'università di Sassari propose di conferire la laurea honoris causa in diritto a Gheddafi: a protestare fu il Partito Radicale; Giovanni Lobrano, il preside di facoltà che proponeva la laurea, è stato assessore degli Affari generali, del Personale e della Riforma nella Giunta regionale progressista (così allora si chiamava il centrosinistra) della Sardegna nel 1994-95. Gheddafi fu ospite dell'università La Sapienza durante il viaggio del 2009, quella stessa Sapienza che aveva l'anno prima visto l'anatema lanciato dai suoi docenti di sinistra contro Benedetto XVI perché non venisse in visita. E tante altre citazioni si potrebbero fare.

Quando la Sinistra considerava un merito proprio l'accordo con la Libia.

Eccoci qua, questo che vado a riportare é un articolo del 2008 del sito del PD in cui la sinistra si lamentava del fatto che Berlusconi si era preso il merito (perchè per loro ai tempi di merito sitrattava) dell'accordo Italia-Libia quando in realtà era stato Prodi a lavorare all'intesa. Credo non cisia nulla da aggiungere..a voi la lettura e le conseguenti considerazioni. Libia, Prodi lavorò all’intesa, Berlusconi incassa fonte Umberto De Giovannangeli - L'Unità L’«ultimo» miglio è stato percorso. Direzione: futuro. Direzione tracciata da Romano Prodi. E portata a compimento da Silvio Berlusconi. Se non è scoccato l’«amore» tra Roma e Tripoli, di certo oggi a Bengasi sarà siglato un «matrimonio d’interesse». Chiuso politicamente ma non definito in tutti i suoi molteplici aspetti tecnici e finanziari il grande Accordo italo-libico sulle compensazioni per i danni del colonialismo italiano in Tripolitania e Cirenaica. Si tratta di un Accordo di amicizia e cooperazione che «servirà a voltare pagina» nei rapporti con Tripoli con un impegno di «diversi miliardi di dollari», ha detto il presidente del Consiglio in una intervista ad un giornale libico. Per firmare l'intesa il premier italiano volerà oggi a Bengasi dove sarà ricevuto dal colonnello Muammar Gheddafi per una cerimonia che si annuncia scenografica, voluta dalla Libia per celebrare la fine di un lungo percorso che è stato segnato in oltre trent'anni da non poche tensioni tra Roma e Tripoli. Infatti, al di là dell'accordo raggiunto nel massimo riserbo tra le parti, la strada per arrivare a questa sigla è stata veramente lunga e piena di ostacoli: Gheddafi ha sempre giocato al rialzo giungendo al punto di chiedere all'Italia una preventiva ammissione di colpe rispetto al periodo coloniale. Una sorta di revisione storica dell'esperienza coloniale italiana per anni dipinta come «colonialismo dal volto buono». Compito che è toccato al precedente governo che attraverso l'ex ministro degli Esteri Massimo D'Alema ha formalmente riconosciuto e rievocato gli orrori di 30 anni di occupazione. Sgombrato il campo etico, Gheddafi ha giocato duro anche sul piano economico: da anni chiede una forte compensazione per i danni del colonialismo attraverso un impegno di grande impatto che si sarebbe dovuto concretizzare in una autostrada costiera da costruire interamente a spese italiane. Ieri, dalle prime informazioni che trapelano, l'accordo sarebbe stato raggiunto sulla cifra di 5 miliardi di lire per «opere infrastrutturali» - sicuramente ci sarà la costruzione di diversi immobili - da spalmare in 25 anni con impegni di spesa annuali. Una cifra ingente anche per l'Italia. Non si conoscono dettagli sulle richieste italiane in merito alla restituzione dei bene sequestrati da Gheddafi agli italiani negli anni ‘70 e sui crediti che diverse imprese ancora vantano dalla Libia. Ma l'accordo era ed è complesso: al punto tale che le delegazioni italiane non sono riuscite a chiudere su tutto ma hanno preferito - pungolati dalla volontà di Berlusconi di chiudere al più presto - lasciare a soluzione futura quelle che sono state definite «alcune questioni collaterali» delle quali si occuperà un'apposita commissione congiunta. Da parte italiana c'è stata una spinta molto decisa anche perchè è da anni noto che solo la chiusura di un accordo generale potrà, forse, far partire l'attuazione concreta delle misure già concordate tra Roma e Tripoli per un efficace contrasto dell'immigrazione clandestina anche attraverso dei pattugliamenti congiunti delle coste. Infatti le continue notizie di sbarchi di clandestini - al 90 per cento provenienti dalle spiagge libiche - e di tragedie al largo delle coste italiane hanno tristemente accompagnando questo negoziato che si è diviso equamente tra temi squisitamente politici e difficoltà di taglio economico. Fonti vicine al dossier sottolineano anche come l'accelerazione fortemente impressa da Berlusconi al negoziato è dovuta al fatto che le risorse energetiche libiche fanno gola a molti altri «competitor» dell'Italia

Vendola voleva modificare la legge per poter assumere un suo protetto !!

Berlusconi e le sue leggi ad personam. No, un momento, stiamo parlando di Vendola questa volta. Ma come, e tutte le cretiche del Governatore della Puglia al Premier sull'uso delle leggi per finalità personali? Caro Vendola, ora perde un po di credibilità, che fa, predica bene e razzola male? «Facciamo una legge per la nomina Asl». Nichi Vendola, pur di sostenere alla nomina a direttore generale di un suo protetto, pretende il cambiamento della legge per superare, con una nuova legge ad «usum delphini», gli ostacoli che la norma frapponeva alla nomina della persona da lui fortemente voluta». È quanto scrive il gip del tribunale di Bari Giuseppe De Benedictis nel provvedimento con il quale è stata chiesta al Senato l’autorizzazione all’arresto del senatore Alberto Tedesco del Pd, all’epoca dei fatti assessore alla sanità pugliese. Questo è un breve riassunto delle telefonate tra Vendola e Tedesco:

Tedesco: «Quello non ha i requisiti sta come direttore generale, quello che vuoi nominare!». Vendola risponde: «O Madonna santa, porca miseria la legge non la possiamo modificare?». Tedesco: «Eh?». Vendola: «Non possiamo modificare la legge in una delle prossime...». Tedesco: «Eh, mica eh...».

 Ma Vendola risponde così ai giornalisti che lo interrogano sulla questione: . «Le nostre comunicazioni telefoniche quando esse non sono incardinate dentro un reato, dentro una ipotesi di reato, valgono per quello che valgono. Cioè, dal punto di vista giudiziario, direi nulla». Ma come, solo le intercettazioni telefoniche di Berlusconi valgono?

E se è la Sinistra a sospendere la mensa dei bambini ?

Cosa hanno in comune Montecchio Maggiore (Vi), Adro (Bs), Fossalta di Piave (Ve), Barletta, Savona e Casorate Primo (Pv)? Apparentemente nulla. In realtà sono sei esempi scelti a caso di Giunte comunali che hanno preso una decisione "estrema" per arginare l'abitudine di tanti (troppi) genitori a non pagare la mensa scolastica dei loro figli: sospendere il servizio, o quantomeno minacciare di farlo. Meno casuale è la scelta del "colore" di tali Giunte: le prime tre sono di centro-destra, con un sindaco leghista; le altre di centro-sinistra con sindaco in quota Pd o lista civica affine. Par condicio. Ai bene informati non sfuggirà una stranezza: i casi di Montecchio Maggiore, Adro, Fossalta di Piave hanno provocato una certa risonanza mediatica, sono stati diffusi dagli organi di stampa a livello nazionale, su internet basta digitare uno dei tre nomi in qualsivoglia motore di ricerca per ottenere paginate intere. Tant'è che non vale neppure la pena parlarne, si sa già tutto, anche ciò che non esiste. Per quanto riguarda Barletta, Savona (capoluoghi di provincia) e Casorate Primo, invece, bisogna scomodare la stampa locale (a volte neppure quella), persino la ricerca on-line si rivela particolarmente ardua. Eppure sono casi documentati. Alla scuola "Modugno" di Barletta, nove bambini senza "card pasti" hanno aspettato nei corridoi mentre gli altri mangiavano: i genitori non avevano i mezzi economici sufficienti per ricaricare la tessera. Dopo qualche giorno il primo cittadino Nicola Maffei (Pd, ex Margherita) ha fatto sapere di "voler risolvere il problema, perché la Puglia non dovrà mai essere paragonata alle realtà leghiste". Non sia mai, nella terra di Vendola, anche se si fatica a intuire le differenze.
Il sindaco Gianni Rho (lista civica di centro-sinistra) di Casorate Primo, provincia di Pavia, non è andato per il sottile: accortosi delle ben 210 famiglie morose e del debito di 27.000 euro, ha deciso di minacciare la sospensione del servizio ai danni di chi non paga. Risultato: qualcuno ha saldato il dovuto, altri vedranno i loro bambini tornare a casa per pranzo il prossimo anno, proprio come nella leghista Fossalta di Piave.
Idem per Savona, dove l'assessore ai servizi scolastici Isabella Sorgini, del Pd, ha fatto diffondere il seguente messaggio «Si informa che, come da delibera della giunta comunale, gli utenti che presentano dei bollettini insoluti da settembre 2007 ad oggi non potranno essere ammessi alla mensa dell’anno scolastico 2010/2011». Come ad Adro.
Al di là delle anomalie con cui sono circolate le notizie, si può dire che non ci sia nulla di strano: il servizio delle mense scolastiche deve essere pagato dai genitori, non dai Comuni. Ed è regolato, con criteri pressoché scientifici, dai certificati Isee. Chi ha redditi bassi, in base alle documentazioni Isee, può essere esentato o beneficiare di sconti: spetta al Comune decidere tariffe e scaglioni. Non c'è alcun motivo per non pagare, se non quello di essere un cattivo genitore che preferisce spendere in altro piuttosto che per la mensa del figlio.
Si può fare come a Genova, amministrata dal centro-sinistra, dove solo tre famiglie su dieci pagano per intero, ma l'Agenzia delle entrate è intervenuta denunciando un "sovradimensionamento delle esenzioni per volontà fraudolenta", ossia il Comune non fa pagare anche chi potrebbe permetterselo, ingigantendo il debito. O come a Castel San Giovanni (Pc), dove la nuova Giunta di centro-destra ha ereditato un debito di 40.000 euro nel bilancio riservato all'istruzione, proprio perché poche famiglie pagavano la mensa: il nuovo assessore, Valentina Stragliati (Lega), ha deciso di "far pagare tutti in base alle loro possibilità", ed ora il debito è di soli 2.000 euro.
Fatto sta che, contrariamente a quanto ipotizzato da certa stampa, la decisione di sospendere i servizi mensa non è appannaggio dei soli sindaci leghisti, spesso accusati in modo dissennato di “razzismo”.
La colpa è semmai di chi non paga sperando nel pietismo degli organi di informazione e in qualche “benefattore” che lo faccia al suo posto.


Riccardo Ghezzi

Un Giudice conferma: Si il Governo Ciampi trattò con la mafia !

Si, lo stato italiano cercò di trattare la resa con la mafia all'epoca di Oscar Luigi Scalfaro Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi Presidente del Consiglio, Nicola Mancino ministro dell'Interno e Giovanni Conso ministro della Giustizia.
La rivelazione è arrivata in un'aula di tribunale a Palermo da un testimone di eccezione: il magistrato Alfonso Sabella, attualmente in servizio al tribunale di Roma. Chiamato a deporre al processo contro il generale dei carabinieri Mario Mori, Sabella ha ricordato i suoi anni da pm a Palermo, quelli al Dap e soprattutto quelli alla procura di Firenze quando collaborò con il pm della Dna Gabriele Che lazzi (oggi scomparso) all'inchiesta sulla trattativa fra Stato e mafia. Sabella, che è uno dei magistrati più apprezzati dalle associazioni antimafia, ha rivelato che Chelazzi era convinto che il generale Mori avesse avuto da organi dello Stato un mandato a trattare con i boss di Cosa Nostra. Secondo lo stesso magistrato «lo Stato, dopo le stragi del '93, tentò di dare un segno di disponibilità a Cosa Nostra alleggerendo il numero dei boss sottoposti al regime carcerario duro previsto dall'articolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario».
 La deposizione di Sabella è importante perché nonostante tutte le smentite, omissioni e parziali rivelazioni sulla trattativa fra Stato e mafia sotto il governo Scalfaro-Ciampi, sta emergendo con chiarezza come allora ci si arrese alle condizioni imposte da Cosa Nostra. Secondo il ricordo di Sabella il suo collega Chelazzi carpì qualche elemento per ricostruire questa oscura vicenda «da un incontro che si svolse fra il generale Mori e l'ex vicecapo del Dap Francesco Di Maggio».
 Nel colloquio ci furono riferimenti espliciti alla direttiva governativa di trattare con i boss di Cosa Nostra. E il clamoroso risultato fu la liberazione dal giogo del carcere duro per oltre 130 boss mafiosi dell'Ucciardone e per centinaia di detenuti mafiosi e camorristi nelle carceri campane. Fra i beneficiari vi furono alcuni dei protagonisti delle stragi del '92 in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e perfino uno dei rapitori e barbari assassini (sciolsero il corpo nell'acido) del giovanissimo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino. A calarsi le braghe davanti a siffatti nobiluomini fu il tanto celebrato governo tecnico della fine della prima Repubblica, che oggi parte del Pd vorrebbe erigere a modello per sostituire l'odiato Silvio Berlusconi. Ma quel governo Ciampi co-diretto al Quirinale da Scalfaro, uno dei grandi moralisti della Repubblica, non solo invece di combatterla si arrese senza condizioni alla mafia, ma si è tenuto questo segreto per quasi due decenni. Fino a quando chissà se per ingenuità o per rimorso nel novembre scorso il quasi novantenne professore Conso ha deciso di rivelare i primi particolari di quel che accadde, sostenendo di avere fatto tutto da solo senza informare nessuno, proprio per vedere se quella grazia concessa ai boss fosse in grado di salvare l'Italia da nuove stragi. La versione di Conso è stata ritenuta sia dalla commissione antimafia che lo ha ascoltato sia dai magistrati palermitani che hanno aperto una inchiesta, assai poco credibile. Proprio per questo i pm palermitani alla vigilia di Natale hanno interrogato per lunghe ore a Roma sia Ciampi che Scalfaro, segregando il contenuto di quei verbali 

L’isola dei famosi e il federalismo !

Nell’attuale sistema mediatico molte innovazioni che l’attuale parlamento sta faticosamente cercando di realizzare non sono sempre e facilmente visibili e comprensibili sui media nazionali (e poi dicono che Berlusconi possiede e controlla troppe televisioni e giornali!); fortunatamente con l’aiuto dei social network (su internet, in parole più comprensibili) e della diffusione che la Lega Nord, compresa la sezione di Parma, fa con i mezzi a disposizione, si possono recuperare brevi ma concise e chiare presentazioni dei primi decreti (e relativi effetti sui cittadini) in merito al federalismo (chi volesse può utilizzare il link di seguito indicatohttp://www.youtube.com/watch?v=TlnS0bNWWY0&feature=player_embedded#at=17). Ci auguriamo che questo permetta a tutti di arrivare finalmente a conoscere la reale capacità e onestà degli amministratori e politici della Lega Nord; all’opposto, la situazione attuale del “sistema” è tale da farci fare il paragone con i tanti programmi televisivi come “L’isola dei famosi” o “Gf” (ma sono solo degli esempi), dove la verità è camuffata, nascosta e spesso deviante, così come lo è l’operato di tanti partiti, enti locali e istituzioni pubbliche: e le recenti indagini, arresti e sequestri di beni ne sono una testimonianza. Altrettanto, ci diverte paragonare certe attrici, sempre sul podio nella speciale classifica dei “fatti e rifatti”, a tanti politici, sindaci e presidenti di enti locali, occupanti importanti poltrone e in grado di influenzare la nostra, oltre a quella dei nostri figli, vita sociale e lavorativa: gonfi, truccati, insomma finti come maschere di Carnevale. Con il federalismo forse non risolveremo tutti e subito questi problemi, ma almeno dobbiamo cominciare a cambiare, a proteggere veramente i nostri diritti costituzionali e il nostro territorio con le sue tradizioni, mettendoci altresì nelle condizioni di smascherare i “furbetti” allontanandoli dalla scena politica e amministrativa!
Speciale Federalismo !!