E’ il 1 aprile 2008. Il gup di Caltanissetta, Paolo Scotto, proscioglie il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli dall'accusa di furto, aggravato dall'avere favorito Cosa Nostra, nell'ambito dell'inchiesta sulla scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino subito dopo la strage di via D'Amelio del 19 luglio 1992.
Il non luogo a procedere è stato dichiarato dal gup in quanto l’ufficiale è stato ritenuto estraneo dalla vicenda relativa alla scomparsa del diario del magistrato in quanto “non ha commesso il fatto”.
Aspettando le motivazioni della sentenza che verranno depositate entro 30 giorni è comunque necessario un minimo di ricostruzione su questa nebulosa vicenda.
Erano i giorni della memoria per la Strage di via D’Amelio.
Neanche un anno fa il gip di Caltanissetta, Ottavio Sferlazza, rigettava la richiesta di archiviazione per le indagini sull’agenda rossa di Paolo Borsellino.
Era lì che il giudice palermitano teneva i propri appunti, forse anche quelli sull’indagine sulla strage di Capaci che tolse la vita al proprio amico, Giovanni Falcone, a Francesca Morvillo e la scorta.
E’ un fatto certo che anche il giorno della strage quell’agenda era all’interno della borsa del giudice Borsellino.
Lo ricorda bene la moglie che aveva visto riporla assieme al costume da bagno qualche ora prima.
La borsa venne trovata sul sedile posteriore, laddove Borsellino l’aveva lasciata prima di scendere e citofonare alla madre.
Alle ore 18.20 di quel 19 luglio 1992 venne iscritta a verbale. Era leggermente annerita, aperta e conteneva tutto, o quasi. Al suo interno non vi era alcuna agenda rossa.
Cosa è accaduto? Chi l’ha prelevata? Chi poteva avere interesse a non farla ritrovare?
Per anni l’ipotesi di furto rimase a carico di ignoti fino a quando gli agenti della Dia non hanno fatto irruzione nello studio fotografico di Franco Lannino, dietro segnalazione riservata.
E’ lì che hanno trovato una foto di via d’Amelio, scattata pochi attimi dopo l’esplosione.
L’immagine ritrae un uomo che, in mezzo a quel caos, teneva in mano la borsa del giudice appena ucciso.
Le perquisizioni vennero ripetute anche nelle redazioni Rai e quelle di altri emittenti, così si arrivò ad avere anche ad una serie di fotogrammi. Il soggetto nella foto è l’allora capitano dei carabinieri, Giovanni Arcangioli.
Dalle ricostruzioni emerge che la foto è stata scattata attorno alle 17.30, un’ora prima rispetto alla trascrizione a verbale.
Come mai l’Arcangioli si stava allontanando da via d’Amelio con la valigetta in direzione di via Autonomia Siciliana?
Cosa è accaduto in quel lasso di tempo antecedente al ritrovamento della borsa? Cosa è accaduto all’agenda rossa?
Rispondendo agli inquirenti incaricati dell’indagine ha riferito, in un primo momento, di non averla mai aperta e di averla consegnata a due magistrati: il dottor Teresi, oggi sostituto procuratore generale e a Giuseppe Ayala, oggi parlamentare.
Il primo ha negato decisamente l’accaduto, ricordando di essere giunto in via d’Amelio non prima delle 18.30, il secondo invece, giunto quasi immediatamente sul posto, (abitava nei pressi del luogo dell’attentato ndr), ricorda di averla notata lui stesso, la cartella di cuoio, e di averla “materialmente presa o indicata e comunque affidata ad un carabiniere in divisa”.
Successivamente Arcangioli modificò la propria versione sostenendo di aver aperto la borsa insieme ad Ayala e di aver constatato assieme che l’agenda non c’era. Affermazioni che il politico ha smentito con forza proprio durante un confronto con l’ufficiale.
A confermare la ricostruzione di Ayala c’è stata anche la testimonianza del giornalista Felice Cavallaro: “Ayala la affidò a un esponente delle forze dell’ordine in borghese e ad un ufficiale dei carabinieri in divisa senza aprirla, io non ne seppi più nulla”.
Sembrava di essere giunti ad un punto morto con il mistero sull’agenda rossa che si arenava nuovamente come tanti altri misfatti d’Italia. Tuttavia doveva essere aperto un nuovo capitolo.
Quando il 6 febbraio 2008 venne iscritto all’elenco degli indagati lo stesso Arcangioli si rianimarono le speranze dei familiari, degli addetti ai lavori ma anche di tanti italiani onesti.
Il rinvio a giudizio poteva essere l’occasione per scovare la verità ma ancora una volta si è deciso di non andare in fondo a questi fatti e ancora una volta ad attendere è la giustizia
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