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mercoledì 17 novembre 2010

GLI UOMINI SONO TUTTI UGUALI....I GIUDICI NO !!

L’esempio che ci arriva da Giuseppe Pignatone, procuratore di Reggio Calabria, è di quelli che fanno onore alla magistratura. Pignatone è infatti un magistrato sui generis rispetto ai tanti (purtroppo) che siamo abituati a sentire in televisione o a leggere sui giornali. Lui non parla, non fa proclami: lavora. Non blatera, non cerca ribalte: indaga. Ed è cosciente di rischiare la vita, così come lo era quando svolgeva le funzioni di procuratore aggiunto a Palermo. È un magistrato del fare, non del tramare. Per questo, a Reggio, le cosche gliel’hanno giurata da tempo: lo vogliono morto. Il suo esempio dovrebbe fare arrossire di vergogna molti dei suoi colleghi, traffichini e pavidi fino al limite della codardia. Mi spiego.
In Italia ci sono numerosi uffici giudiziari che sono etichettati come «sedi disagiate» (in realtà sarebbe meglio dire sgradite): fra questi ci sono quelle procure o quei tribunali aggrediti dalla criminalità organizzata. Come Reggio Calabria, appunto, o come numerosi distretti in Sicilia e Campania. In queste trincee del diritto mancano oltre 150 magistrati. In passato venivano coperti da uditori giudiziari, i cosiddetti giudici ragazzini ovviamente inesperti perché di prima nomina. Per assicurare una copertura «di livello» dei posti, il ministero della Giustizia si è mosso da tempo. Occorre fare una precisazione. In Italia, come recita l’articolo 107 della Costituzione, «i magistrati sono inamovibili»: non possono essere trasferiti come ogni altro impiegato statale. Nelle intenzioni dei padri costituenti questa doveva essere una garanzia per la loro indipendenza: li metteva al riparo dal pericolo di traslochi punitivi, decisi magari per privarli della titolarità di un’inchiesta sgradita. Questa garanzia, però, col tempo si è trasformata in un odioso privilegio: decidono loro e solo loro, casomai, quando vogliono essere trasferiti tanto che la Costituzione precisa che salvo i casi disciplinari (pressoché inesistenti) il trasferimento deve avvenire «con il loro consenso».
Torniamo alle sedi disagiate. Per coprire i posti là dove l’aggressione della criminalità organizzata è soffocante, il ministero della Giustizia ha messo a punto una legge che permette al Consiglio superiore della magistratura (l’unico organo titolare di trasferimenti e promozioni dei giudici) di risolvere il problema. Come? Con una procedura che prevede trasferimenti su richiesta e, se non arrivano le domande, con trasferimenti d’ufficio ma con criteri automatici (peraltro in luoghi vicini a dove lavoravano) che escludono qualsiasi sospetto di eventuali punizioni e comunque per una durata massima di quattro anni. Questo succedeva grazie a un decreto del governo del dicembre 2009 poi diventato legge a febbraio di quest’anno. Bene: la legge non è stata mai applicata dal Csm. Tutti sono rimasti ai loro posti mentre continuano a essere scoperte le sedi disagiate.
Vorrei aggiungere che per chi va in una di queste sedi disagiate il governo ha previsto anche un incentivo economico di tutto rispetto. Il magistrato, infatti, riceve in busta paga quasi 2 mila euro netti al mese in più oltre a un bonus a fondo perduto di alcune migliaia di euro versati all’atto del trasferimento. Non solo. Questi magistrati avranno anche benefici automatici di carriera.  Perché allora invece di tante chiacchiere il Csm non si dà una mossa? Anche qui la risposta è semplice e, allo stesso tempo, disarmante: per logiche di corporazione. La maggior parte dei componenti del Csm sono magistrati eletti da magistrati. Sono organizzati come partiti, ma guai a dirlo. Quando si vota applicano le stesse logiche della politica politicante: promettono favori, garantiscono coperture, amministrano clientele. Senza dimenticare che l’Associazione nazionale magistrati (di fatto il sindacato delle toghe) esercita sul Csm un potere di condizionamento enorme. È sufficiente così una telefonata di un magistrato che sa di poter essere trasferito d’ufficio al collega del Csm o al «referente» dell’Anm per bloccare tutto. A proposito: ovviamente l’Anm si stracciò le vesti dopo il decreto del governo e proclamò uno sciopero. Tutto ciò non vi suona ridicolo se vi capita di leggere i pettoruti attestati di solidarietà inviati dall’Anm al valoroso collega Pignatone di Reggio Calabria?

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