Succede che il parlamento talvolta approvi cattive leggi… mi verrebbe da dire “E’ la democrazia, bellezza”, o come avrebbe detto churchill “È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”
La privacy – cioè il diritto alla riservatezza – ha un valore molto particolare per gli europei, ha un valore specialissimo in virtù della storia politica del continente. L’Europa ha infatti inventato e attivamente sperimentato tutti i totalitarismi del XX secolo. Lo Stato di polizia, nelle sue versioni fascista, nazionalsocialista o comunista, si regge sull’inesistenza di ogni barriera fra la sfera individuale, privata, e l’ambito sociale, pubblico.
Per lo Stato totalitario, letteralmente, il privato è politico: e dunque va spiato e controllato con la stessa urgenza con cui si controllano le manovre del nemico. È per questo che gli europei attribuiscono un enorme valore, e un valore persino fondante, al diritto alla privacy.
La legge sulle intercettazioni in discussione in questi giorni si propone precisamente questo obiettivo: difendere meglio il diritto alla riservatezza dei cittadini, siano essi indagati o no. È dunque, nello spirito e nelle intenzioni, una legge profondamente liberale, giusta, e sacrosanta. In Italia, infatti, le intercettazioni telefoniche molto spesso sono state usate e pubblicate indiscriminatamente non allo scopo di aiutare la ricerca della verità, ma al fine di distruggere la vita privata dell’indagato e il suo profilo morale.
In questo modo però il tribunale dell’opinione pubblica, che in democrazia è l’istanza più alta, non viene chiamato ad esprimersi in base ai fatti, ma esclusivamente secondo l’umore, il gusto e la morale. Tizio è omosessuale, Caio va a puttane, Sempronio ha due amanti – così si articolano, simbolicamente e materialmente, le inchieste italiane (che troppe volte, va aggiunto, si concludono con un nulla di fatto).
La pubblicazione di intercettazioni che niente hanno a che fare con i reati oggetto di un’indagine, contrariamente a quanto sostengono i mozzaorecchi di Repubblica e del Fatto, non c’entra nulla con il diritto all’informazione ma, al contrario, lede profondamente quel diritto perché inganna il cittadino intorbidando le acque, mescolando il piano giudiziario – il solo di cui un magistrato sia titolare – con la sfera personale, intima, privata degli imputati. Regolamentare la pubblicazione degli atti giudiziari (“per riassunto”, come dice la legge) è dunque un rafforzamento, e non un indebolimento, del diritto all’informazione. La Fnsi, se avesse un’idea anche vaga dei principi dello Stato liberale, non potrebbe non essere d’accordo.
Resta da considerare l’impatto che la nuova legge avrà sulle indagini e sui processi, presenti e futuri. La riduzione a 75 giorni (più 3 di proroga) del termine massimo per un’intercettazione è ragionevole e in linea con il resto dell’Occidente; per i reati di mafia e terrorismo non cambia nulla; nessun reato per cui era già prevista la possibilità di intercettazione è stato cancellato, e alla lista è stato aggiunto lo stalking; tutte le intercettazioni compiute restano valide per tutti i processi in atto.
Si sarebbe potuto fare meglio? Senz’altro. Ma francamente è difficile trovare in queste norme le tracce del “bavaglio” alla magistratura e alla stampa di cui parlano gli esagitati. Ha piuttosto ragione Fini: il compromesso è onorevole, il diritto alla riservatezza è rafforzato, la legalità è rispettata, la lotta alla criminalità non viene indebolita. Il resto è cattiva propaganda di un’opposizione senza idee.
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