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sabato 28 maggio 2011

I falsi rom di Pisapia? Sono tutti veri nomadi..la solita ipocrisia.

Una fan del candidato sindaco vede al mercato una nomade con la borsa "Vota Pisapia" e l’accusa di essere una figurante pagata dal Pdl. La zingara si difende: "Me l’avete data voi".

Avvocato Giuliano Pisapia, ho trovato quel li che si travestono da rom e si spacciano per suoi sostenitori. Non ci crederà, ma sono veri rom che si vestono da rom. Suoi amici che raccontano di essere suoi amici. E ho trovato anche quei brutti razzisti che considerano i nomadi gente da tenere alla larga. Da nascondere e di cui perfino vergognarsi. Sono suoi soste nitori. Di lei, Pisapia. E che non hanno bisogno di trave stirsi da niente. Perché forse un po’ razzismo,suvvia lo ammetta, è nel fondo di tutti. Anche a sinistra. E se vuole sono pronto anche a raccontarlo ai giudici. Anche a quelli che hanno da lei ricevuto l’esposto per denunciare «una serie di episodi di una gravità incre dibile ».Come l’arruolamento di finti zingari e sedicenti ra gazzi dei centri sociali che mo lestano i passeggeri del metrò. Con la «regia occulta» del cen trodestra e di Letizia Moratti.

Ebbene, eccomi qua a raccontare un «episodio di una gravità incredibile», di cui so no stato testimone. Sono pronto a giurare di non essere un «figurante». Non un gran giornalista, ma il titolare della tessera numero 56399 dell’Ordine professionale. Ieri alle ore 12,10 mi trovavo al mercato del giovedì di via Pietro Calvi, tra corso XXII Marzo e piazza Risorgimento. Lì ci sono casa mia e la storica sezione del Pd (fu Pci) di via Archimede.

A volantinare per la Moratti facce da boy scout, a occhio roba ciellina che spiega con pazienza alla vecchietta che donna Letizia è un buon sindaco. Non molto entusiasmo, ma la sana ingenuità della bella gioventù. Organizzatissimi, invece, i suoi «volantinatori». Buona borghesia, ché il quartiere è di quelli buoni. Uomini e donne. Qualche ragazzotto che tacchina quelle di cielle («Venite alla festa di Pisapia? Siete per la Moratti? Ma che importa, venite che beviamo una birra e poi ci divertiamo »). La faccia bella della politica. Restate così.Perché quel l a brutta è già pronta all’incrocio. Ho il sacchetto delle fragole (servisse per il verbale, le ho comprate al banco di fronte a via Lincoln, quello delle caset te de i ferrovieri che oggi costa no un occhio. Le fragole, invece, le ho pagate con lo sconto: 2 euro quattro cestini. Buone).

Pochi passi e vedo una donna ben vestita che si agita parlando con un’altra. Quella ben vestita ha la spilla «Giulia no Pisapia sindaco» e un pacco di volantini. Con lei un uomo ben vestito con spilla e volantini. Lei appesa alla spalla ha una borsa. Di quelle di tela arancione con «Giuliano Pisa pia sindaco». Uguale a quella dell’altra donna. Giovane e con un’amica. Dall’abbigliamento sono indubitabilmente zingare. A tracolla il sacco arancione di stoffa. «Dove l’hai presa? - le chiede brusca la donna ben vestita - chi te l’ha da ta? ». L’altra risponde: «Uno con i volantini». «Dove?». «Qui vicino». «Vieni con me, ti devo parlare», si fa seria quella ben vestita. E la trascina dove via Calvi sfocia in piazza Risorgimento. Dove nessuno possa vederla. Ma io sono curioso. Mi colpisce il tono, l’arroganza.Ma cosa dice? «Vieni con me»? Odio l’arroganza. Ma chi sei? Sto per chie derglielo, ma voglio vedere dove arriva. «Ora ti spiego - dice la donna ben vestita alla nomade- . Noi siamo amici di Pi sapia e domenica si vota». La nomade sorride, meno spaventata. «Anch’io - risponde sono amica di Pisapia». Chiaro, ha la borsa arancione. «Allora mi devi aiutare. Dammi quella borsa». E le cose dove le mette? Una mattinata di elemosine: un po’ di frutta,verdura, pane, bicchieri di carta. «Se mi dai quella borsa, io te ne compro un’altra».

La zingara la svuota. «Mi serve una borsa », dice concitata la donna ben vestita. Un ghanese irregolare fiuta l’affare e arriva con una Louis Vuitton tarocca. Comincia la trattativa. Poi ci ripensa. Costa troppo. «Me ne serve una di plastica». Di plastica non c’è. La zingara rimette il cibo dentro quella arancione. L’uomo ben vestito ha un’idea: «Ti do 5 euro se me la dai e te ne vai subito di qui. Subito». La zingara ci sta. La donna ben vestita no. «Macché 5 euro. Dammi subito quella borsa oppure chiamo la polizia e ti faccio arrestare ». Arrestare? Sto per intervenire. Odio l’arroganza. Aspetto. La zingara è spaventata. «Perché arrestare? Cosa ho fatto di male? La borsa me l’ha data uno di voi». Nessun motivo per non crederle. Ma an he se così non fosse, cosa c’è di male se una rom gira per il mercato con una borsa di Pisapia? Forse che i nomadi vanno bene nel programma del candidato sindaco, meno se girano «griffati» Pisapia? Forse c’è da vergognarsi a dire che i rom sono «amici di Pisapia »? Forse che i rom sono come polvere da nascondere sotto il tappeto? Da non far vedere a tre giorni dal voto? Ma non facevano parte di quella meravigliosa città multiculturale che Pisapia predica? Del la meravigliosa esperienza di «autocostruzione» con cui abbandoneranno le favelas e spontaneamente edificheranno palazzine dopo secoli di no madismo? La rom non molla: «Se vuoi la borsa, dammi 5 euro». Il ghanese si agita con la simil Vuitton che vuol vendere alla donna ben vestita che insulta l’uomo ben vestito: «Ma cosa ti è venuto in mente di prometterle 5 euro?». È furibonda. «Se non mi dai la borsa - alza la voce- ti faccio arrestare».
Arriva quello del furgone della gastronomia. «Fatele arrestare. Fuori dalle palle devono an dare. Che quelle rubano i portafogli ». L’uomo ben vestito si riscopre garantista: «Non dica così». Un’anziana conferma: «A me l’hanno preso dalla borsa con tutti i soldi. Nemmeno me ne sono accorta».La zingara fiuta l’aria e se ne va. La donna ben vestita va in cerca del vigile. Per denunciare una donna rom che passeggia per il mercato con una borsa arancione di Pisapia che le ha regalato uno del comitato elettora le di Pisapia. Robe da pazzi. Per fortuna domenica si vota.

P.S.: avvocato Pisapia, che sia il caso di chiedere scusa al la donna rom, non travestita da rom, sua sostenitrice che racconta di essere una sua so­stenitrice e assalita da una sua sostenitrice non travestita da sua sostenitrice?
  
di Giannino della Frattina

BITONCI SUL “BOTTELON” A PADOVA: ZANONATO, LA TUA ORDINANZA ISTIGA I RAGAZZI ALLA SBRONZA COLLETTIVA.

“Mi chiedo cosa passi per la testa al sindaco di Padova nel momento in cui, nonostante il parere contrario della questura ad una manifestazione come quella in programma questa sera a Padova con una stima di presenze che si aggira intorno alle diecimila persone, emana un’ordinanza che, imponendo il limite massimo di un litro di bevande alcoliche a testa, in qualche modo dà ufficialità – e quindi autorizza – la sbornia collettiva.
Perchè, sia chiaro, sono favorevole alla libera aggregazione dei giovani, che hanno il sacrosanto diritto di ritrovarsi, anche in gruppi numerosi come nel caso della serata prevista per questa sera a Padova, grazie al tam tam dei social network.
Quello che disapprovo totalmente è il messaggio che, con le ordinanze “alla Zanonato”, viene dato a questi ragazzi: “Bevete pure un litro di alcol a testa, e poco importa se si tratta di vino o di un superalcolico, sbronzatevi per bene purchè le forze dell’ordine non vi trovino in possesso di più di una bottiglia da litro”.
Mi spiegherà poi Zanonato anche come farà a sapere se il “litro” che tengono in mano questi giovani è il primo (ed unico) che si scoleranno nella serata, oppure se hanno più volte riempito e poi svuotato la stessa bottiglia. Sono proprio curioso di sapere come verranno eseguiti i controlli e le relative misurazioni.
Ben venga lo spirito di aggregazione, ne abbiamo bisogno in una società come la nostra che tende ad isolare l’individuo più che ad unirlo, ben vengano concerti e musica, ma quella impartita da Zanonato con la sua ordinanza è vera e proprio “istigazione al bere”!
E per finire una considerazione: come mai, visto che la manifestazione non è autorizzata, viene speso denaro pubblico per l’allestimento di trenta bagni chimici, e vengono predisposti turni straordinari di lavoro di personale della polizia locale? Perchè mai, mi chiedo, mettere a disposizione risorse pubbliche quando i bilanci comunali, e noi sindaci lo sappiamo bene, sono ridotti all’osso? Chi provvederà, domani, a ripulire le zone che inevitabilmente verranno sporcate dal bivacco di migliaia di persone? E a spese di chi?
Staremo a vedere quale esempio di civiltà sarà in grado di dimostrare domattina la città di Padova.

Cordiali saluti

venerdì 27 maggio 2011

Walter Veltroni, 51 anni, 9.000 euro di pensione.

Inchiesta dell’Espresso: più di duemila ex parlamentari ogni mese incassano vitalizi fino a diecimila euro, cumulabili con altri redditi e che ci costano 174 miloni. All’ex "cattivo maestro" Toni Negri 3mila euro al mese

Mentre in Italia impazza il dibattito sull’età pensionabile, qualcuno l’assegno dell’Inps se l’è già intascato. Molto prima dei 60 anni e grazie al fatto di essere un «onorevole». Anzi, un ex parlamentare. A spese dei bilanci di Camera e Senato, che nel 2006 hanno dichiarato un «rosso» da 174 milioni di euro. Un buco nei conti che ricadrà inevitabilmente sui contribuenti italiani. A fare luce sull’ennesimo scandalo che riguarda i privilegi della politica è stato l’Espresso, che nel numero in edicola ha pubblicato l’elenco dei 2005 ex parlamentari che incassano ogni mese un assegno dai tremila ai diecimila euro lordi.

Il vitalizio è il risultato di una sproporzione incredibile tra contributi e prestazioni erogate, ed è ovviamente frutto di una legge del Parlamento. Secondo la normativa in vigore, i deputati il cui mandato parlamentare sia iniziato dopo il 1996 hanno il diritto alla pensione a 65 anni. Ma se dal ’96 ad oggi sono stati eletti per due legislature, gli anni si riducono a 60. Più fortunati i deputati eletti prima del ’96, che hanno diritto al vitalizio già a 60 anni, che però possono scendere a 50 anni se si utilizzano tutti gli anni di mandato accumulati oltre i cinque minimi richiesti. A conti fatti, con più di tre legislature (più o meno 20 anni di contributi) si può andare in pensione sotto i 50 anni.

Ancora più generoso, sostiene L’Espresso, si rivela il Senato: gli eletti a partire dal 2001 hanno diritto alla pensione solo a 65 anni (a 60 con due legislature) e a condizione di aver svolto un mandato di cinque anni. Coloro che hanno conquistato lo scranno prima del 2001, riscuotono invece il vitalizio a 60 anni con una legislatura, a 55 con due e a 50 anni dopo tre mandati. Il calcolo del vitalizio è legato agli anni di contribuzione. Ed è salvaguardato dalla cosiddetta «clausola d’oro» grazie alla quale il vitalizio si rivaluta automaticamente con l’indennità del parlamentare ancora in servizio.

Passi per i padri della Prima Repubblica, da Mino Martinazzoli ad Antonio Gava, che incassano quasi 10mila euro lordi al mese. Meno per personaggi come il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari o imprenditori come Susanna Agnelli e Luciano Benetton, che incassano 3mila euro lordi per 5 anni «di servizio» in Parlamento. Ma tra i privilegiati c’è anche chi deve decidere le sorti delle pensioni degli italiani. Come i sottosegretari all’Economia del Prc Alfonso Gianni (56 anni, circa 6.600 euro lordi al mese di pensione) e della Margherita Roberto Pinza (65 anni, 9.387 euro lordi al mese), dimessi da parlamentare per entrare nel secondo governo Prodi, che oltre all’assegno incassano lo stipendio da sottosegretario (192mila euro l’anno a testa), visto che la pensione si cumula con tutti i redditi e tutte le rendite.

L'ex sindaco ds di Roma Walter Veltroni, 51 anni, deputato dall’87, che con 23 anni di contributi versati, dal 2005 riscuote dalla Camera un vitalizio mensile di 9mila euro lordi (che si aggiunge allo stipendio del Campidoglio, di circa 5.500 euro netti). Somma che - fece sapere il Comune - Veltroni ha provato inutilmente a rifiutare e che poi ha deciso di distribuire in beneficenza alle popolazioni africane (precisazione onesta e doverosa). C’è anche Toni Negri, l’ex leader di Autonomia operaia che nel 1983 era detenuto per associazione sovversiva e insurrezione armata contro i poteri dello Stato; eletto con i radicali, si fece vivo alla Camera solo per sbrigare le pratiche e poi si diede alla latitanza in Francia. Nonostante ciò percepisce 3mila e 108 euro di pensione da parlamentare. «La sua personale vendetta contro lo Stato borghese», commenta l’Espresso.

E poi ancora: Nando Dalla Chiesa (Margherita), in pensione a 58 anni con quasi 6.600 euro lordi al mese, l’altro sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi (Ds), che a 59 anni si mette in tasca ogni mese un assegno da 4.725 euro lordi più i 192mila euro annui. A 60 anni ancora da compiere Mauro Paissan può già contare su un vitalizio mensile di circa 6.600 euro, ai quali vanno aggiunti i compensi che percepisce dal Garante della Privacy. E ancora Maura Cossutta, classe 1951, figlia del leader Pdci Armando, che porta a casa ogni mese 4.725 euro lordi.

fonte "nocensura"

mercoledì 25 maggio 2011

Il tramonto di Zapatero. la Sinistra in 5 anni distrugge tutto il lavoro di Aznar.

Quasi 35 milioni di spagnoli si sono recati alle urne per rinnovare oltre ottomila sindaci, 68.400 consiglieri municipali e 824 deputati regionali in una consultazione locale stritolata fra crisi economica, disoccupazione, protesta sociale e giovanile. Il Psoe del premier Zapatero ha subito una sonora sconfitta. I socialisti sono ai minimi storici e Zap. non si ricandiderà nel 2012. Il Psoe perde in grandi feudi tradizionali, come la Castiglia-La Mancia e l'Estremadura, ma soprattutto a Barcellona e Siviglia, seconda e quarta città del Paese. Barcellona finisce nelle mani dei nazionalisti conservatori del Ciu mentre Siviglia passa nelle mani del Pp, che si conferma anche nella capitale Madrid. Secondo i risultati diffusi ieri in serata, in Spagna c'è un onda azzurra montante, come il colore del Partido Popular (Pp) di Mariano Rajoy, che chiede elezioni anticipate. Il risultato di oggi viene considerato un forte segnale di allarme per i socialisti, a dieci mesi dalle cruciali politiche di marzo 2012.
La vigilia elettorale è stata caratterizzata da quello che è stato ribattezzato il movimento degli “indignados” (o movimento 15-m), i cui componenti si sono accampati martedì scorso a Puerta del Sol a Madrid e nei giorni successivi in altre piazze del Paese denunciando il sistema politico dominato dai grandi partiti e reclamando una maggiore giustizia sociale. Decine di migliaia di manifestanti hanno nuovamente invaso sabato sera  e nella notte le vie e le piazze della Spagna. Nella capitale, i dimostranti hanno deciso per alzata di mano che continueranno a occupare Puerta del Sol almeno fino a domenica prossima a mezzogiorno. L'impatto che l'esplosione della rivolta dei giovani ha avuto sulle urne non è ancora del tutto chiaro. Ad occupare le prime pagine dei giornali e i titoli dei tg non sono stati né i discorsi di Zapatero né di Rajoy. Tutti parlavano solo degli “indignati”. Con troppa enfasi dicono di ispirarsi a Piazza Tahir. Alle proteste che hanno mandato via il “faraone” Mubarak dopo trent’anni di dominio sull’Egitto. Ma sono un’altra cosa. Sono la generazione che ha paura di finire come la Grecia. Sono giovani, laureati e non, che dal 15 maggio (perciò il movimento si chiama M-15) manifestano per avere un futuro, ma non solo. La protesta di piazza Puerta del Sol denota soprattutto l’ansia di un Paese che si sente sempre più messo all’angolo.
Come spiega Stratfor, la Spagna è il prossimo paese della Ue candidato alla bancarotta. La disoccupazione è la peggiore delle conseguenze sociali di una recessione che ha colpito duramente.  Il tasso dei disoccupati è costantemente oltre il 20 per cento, con un picco per il settore dei giovani che supera il 40 per cento. Ma gli indignati spagnoli sono soprattutto i figli di una delusione. Quella di un paese che pensava di aver trovato la ricetta per la felicità e la ricchezza. Appena due anni fa politici ed economisti iberici festeggiavano il sorpasso del Pil spagnolo su quello italiano. Poco dopo è scoppiata la bolla immobiliare che ha polverizzato migliaia di posti di lavoro e affossato il settore che faceva da volano a tutto il sistema economico. Poi sono arrivate le banche da salvare, i tagli nel settore pubblico e le tasse in aumento. Tutti discorsi che gli “indignati” non vogliono più sentire.

“Il modello Zapatero ha fallito. Con Pisapia rischia di vincere a Milano”

Copertina con titolo nero su fondo giallo: “Milano vuoi davvero Zapatero?”. Domani “Tempi” esce così in edicola a cinque giorni dai ballottaggi. Dal suo osservatorio milanese, il direttore del settimanale cattolico Luigi Amicone analizza il rischio che intravede se a vincere fosse il candidato di Vendola: l’applicazione nella capitale economica d’Italia del modello fallito in Spagna. Il modello dei ‘diritti, diritti, diritti’. Il ragionamento si allarga anche al ruolo ‘militante’ di parte della Diocesi meneghina in questa campagna elettorale e agli “effetti” sull’elettorato cattolico delle due proposte di governo cittadino.
Amicone, da che parte stanno i cattolici nella sfida di Milano e Napoli?
Non è possibile identificare oggi da che parte stanno i cattolici, in diaspora da molto tempo, da quando non esiste più il partito unico che era la Dc. Qui a Milano si avverte molto la presenza e il manifestarsi ad esempio di don Virginio Colmegna, già ai vertici della Caritas e oggi uomo-simbolo della Casa della Carità, espressione istituzionale della Diocesi che storicamente, da circa vent’anni, ha una certa propensione a sinistra. Qualora si affermasse il candidato vendoliano Pisapia sarebbe la prima volta che questo orientamento verrebbe ‘istituzionalizzato’.
Ma ci sarà pure nel mondo cattolico chi ha idee diverse.
In realtà la chiesa di base che è la chiesa dei movimenti, delle associazioni è molto più variegata. Non svelo un segreto o dico una novità se affermo che in questi giorni l’area di Comunione e Liberazione è quella più mobilitata nelle piazze e tra la gente, tanti giovani impegnati che talvolta si trovano in imbarazzo a confronto con le espressioni più ‘istituzionalizzate’ della Diocesi che ad esempio fanno volantinaggio nelle chiese a sostegno di Pisapia.
Che aria tira a Milano a cinque giorni dai ballottaggi?
Basandosi solo sui programmi elettorali e non sulle emotività, da una parte c’è la proposta della Moratti calibrata sulla libertà, la sussidiarietà, il riconoscimento dei corpi intermedi, la tutela dei principi eticamente sensibili. Dall’altra, c’è il prevalere del contrario, nel profilo politico e personale del candidato vendoliano. Seppur garbato e uomo di stile come è l’avvocato Pisapia, non dimentichiamo le sue proposte sull’eutanasia. Non solo: programma e compagine di governo dimostrano l’ancoraggio anche culturale ad un modello statalista, improntato al vecchio dirigismo, al fatto che solo loro sanno cosa è bene e male per i cittadini. In buona sostanza, un armamentario che credevamo superato dalla storia nel quale stanno insieme il socialismo dei diritti fallito in Spagna e il solidarismo cattolico più intriso di moralismo dove il cristianesimo non è centrale, ma a prevalere è la psicologia, la sociologia, il terzomondismo.
 In caso di vittoria, Pisapia porterà a Palazzo Marino una maggioranza molto variegata, dal radicale Cappato ea cattolici che la pensano all’opposto. Come è possibile far convergere idee tanto distanti su scelte strategiche per la città e su valori che per i cattolici dovrebbero essere non negoziabili?
E’ un po’ come la quadratura del cerchio, cioè impossibile. Una compagine di governo così non può durare a lungo. A meno che qualcuno rinunci al proprio pensiero, alle proprie convinzioni, come del resto è storicamente accaduto, quando i cattolici si sono resi strumenti altrui, ultime ruote del carro, benedicenti con l’acqua santa in cambio di un potere personale. Questo è il punto: tutti a parole possiamo definirci cattolici ma il vero cattolico è colui che si mette in relazione, segue le indicazioni della Chiesa cattolica.
Nel suo programma il candidato vendoliano annuncia la costituzione del registro delle unioni civili, parla di corretta applicazione della legge 194 e del potenziamento dei consultori. Qual è la rotta che sta tracciando?
Nella copertina di Tempi che esce domani, domandiamo ai milanesi se vogliono il modello Zapatero, perché è questa la sensazione che abbiamo se dovesse vincere la sinistra. Se c’è una novità nella sinistra socialdemocratica ed europea negli ultimi dieci anni,  è stata indicata da Zapatero con la prospettiva della rivoluzione dei diritti individuali. Dietro l’immagine buonista del premier spagnolo abbiamo visto cosa c’è e come è andata; dietro questo aspetto di zapaterismo moderato di Pisapia che certamente è persona perbene e garantista anche se questo aspetto non è emerso molto in campagna elettorale, c’è la storia e il profilo di un ex parlamentare di Rifondazione Comunista e quella di un radicalismo di sinistra che lo sostiene e che sarà vincolante sulle scelte per la città. Non credo che su questa impostazione riusciranno ad avere come vicesindaco un’esponente del mondo cattolico.
Dunque Milano come Madrid?
Qui l’intento è riprodurre un zapaterismo mite, ma la differenza alla fine la farà la componente rifondarola che punterà tutto su ‘diritti, diritti, diritti’.
Se questo è lo schema come fa la Milano moderata, la Milano degli imprenditori, dell’iniziativa privata a privilegiare un modello del genere?
Sicuramente i milanesi non hanno ancora chiara una consapevolezza di fondo e questo per molte ragioni.
Quali?
Non c’è stata la possibilità di confrontarsi bene e in maniera approfondita sulle due proposte di governo, su quanto fatto in cinque anni. E questo all’inizio anche per colpa del centrodestra, poi c’è stato lo scivolone della Moratti con l’accusa a Pisapia che ha contribuito a perder tempo sulle polemiche anziché concentrarsi sui programmi. Ora è visibile un recupero sui progetti, la gente comincia a rendersi conto che la ‘la lezione’ del primo turno ci stava tutta.
Perché?
I milanesi non hanno avuto modo di entrare nel merito delle cose e hanno legittimamente reagito d’istinto a un clima e a toni sbagliati da parte del centrodestra. Tuttavia c’è stata un’evoluzione, una chiara consapevolezza di tutto il centrodestra, a partire dalla Moratti, che c’era altro da raccontare.
Lei vede una partita ancora aperta?
Sì. Vedo l’impegno di tanti ragazzi nei quartieri, tra la gente, per passare da un clima emotivo, reattivo, negativo, al ragionamento sulle cose. Anche perché sono in ballo questioni strategiche: dall’Expo, alla metropolitana, al piano del governo del territorio. Voglio vedere come si confronterà con tutto questo Pisapia se dovesse vincere. Certo, non getterà tutto alle ortiche ma attuerà una sostanziale revisione condizionata dall’ala radicale della sinistra, quella dei Basilio Rizzo, dei centri sociali dei verdi ecologisti che si sono battuti contro queste trasformazioni. 
Scorrendo il programma della sinistra non c’è granchè sulle politiche per la famiglia, semmai si pone l’accento sulle “famiglie plurali” promettendo “parità di diritti e doveri per tutte le comunità affettive e di vita che vogliono essere riconosciute dall’amministrazione”. Cosa ne pensa?
Non solo le cosiddette famiglie plurali, ma nell’entourage di Pisapia c’è chi propone addirittura l’abolizione del concetto di famiglia tradizionale. Torna il modello zapaterista.
Come valuta la scelta delle mani libere dai ballottaggi di Casini e del terzo polo?
La leggo come una mossa legata al futuro politico di Casini che probabilmente pensa di mettersi alla testa di una coalizione di centrosinistra diventando un ‘nuovo Prodi’, nel 2013. In questo scenario, è naturale che adesso debba indicare un’equidistanza dai due schieramenti. Penso, però, che l’elettore dell’Udc se guarda dentro i programmi senza fermarsi ai richiami demagogici, non possa che scegliere la Moratti.
Monsignor Mogavero dice che a Milano non esiste il rischio islamizzazione come invece sostiene il centrodestra. Fatto salvo il principio di libertà di culto fissato dalla costituzione, condivide questa posizione e che effetto può avere sull’elettorato cattolico?
Monsignor Mogavero di distingue spesso per affermazioni molto opinabili dal punto di vista dell’informazione sui fatti. Dire che a Milano non c’è il rischio islamizzazione che cosa significa? Non stiamo parlando di questo, bensì di una presenza molto significativa di islamici in città. Purtroppo, ci sono sacerdoti  che sottovalutano il fenomeno sul piano della sfida culturale, religiosa, antropologica. E invece dovrebbero capire che integrazione significa la possibilità di annunciare il Vangelo, non il contrario.
Il cardinale Bagnasco rileva la necessità di una nuova generazione di leader cattolici. Secondo lei qual è il messaggio?
Il suo è un richiamo alle parole pronunciate dal Papa due anni fa. Bagnasco sta seguendo l’auspicio giusto e legittimo del Pontefice affinchè i cattolici si impegnino in politica e non facciano solo i fanalini di coda. Ciò che mi auguro veramente, è che la Chiesa ci liberi presto di certi sacerdoti che predicano che la Chiesa non deve farsi strumentalizzare dalla politica e poi sono loro i primi a farlo.
Perché la Moratti non ha convinto al primo turno?
Letizia Moratti è una persona che ha amministrato bene. Il suo limite è di essere una persona che può apparire un po’ distaccata, poco sorridente, ma il punto non è questo. Non conta il carattere o l’immagine, conta come si amministra una città. La Moratti non ha la responsabilità di guidare una comunità di carismatici bensì di occuparsi di illuminazione, governo del territorio, buche per strada, gas eccetera. E’ stata la Moratti a portare a Milano l’Expo che secondo quanto certificato dalla Bocconi significa 61mila posti di lavoro. A me basta questo.  
Che idea si è fatto su Napoli? Ci sono analogie a sinistra con Milano?
Anche qui c’è una situazione paradossale. C’è stato un lungo periodo in cui tutti i giornali borghesi di destra e di sinistra hanno enfatizzato, osannato e celebrato il mitico ‘rinascimento bassoliniano’, poi quella stagione sappiamo tutti come è andata a finire e cosa abbia prodotto. Il paradosso è che oggi l’uomo nuovo di Napoli va al ballottaggio con la sinistra che ha fallito. D’Alema esalta De Magistris, ma è stato lui il grande sponsor di Bassolino.
Se vincesse De Magistris che garanzie avrebbe l’elettorato cattolico sui valori e sui principi di riferimento?
Nessuna e sono convinto che se De Magistris dovesse vincere il suo governo avrebbe vita molto corta, perché è l’espressione di una visione rattrappita del mondo fondata solo sulla legalità. Spero che la saggezza dei napoletani prevalga sulla demagogia.
De Magistris si definisce un moderato, Pisapia idem. A sinistra c’è la rincorsa a chi è più moderato dell’altro. Ma cos’è questo nuovo moderatismo?
Semplicemente uno specchietto per le allodole. Chi è De Magistris lo abbiamo visto da Santoro ad Annozero e soprattutto lo abbiamo visto nelle sue fallimentari inchieste. Pisapia ha un’altra intelligenza, più raffinata e sofisticata, ma le forze che stanno con lui non possono certo dirsi moderate.   
Il Pd cancellato al primo turno adesso sostiene l’ex pm e mette i voti riformisti a disposizione di chi ai riformisti vuol togliere la leadership, oggi e nel 2013. Anche su questo come possono sentirsi i cattolici che militano nel centrosinistra?
È la fine del Pd. E l’immagine del dirigente moderato e riformista del Pd Umberto Ranieri davanti a nuovo Masaniello è il simbolo del tramonto di un glorioso partito. I cattolici nel centrosinistra purtroppo sono solo una retroguardia e il loro peso è marginale.
Nel 2008 buona parte dell’elettorato cattolico ha votato per il programma di Berlusconi riconoscendosi nei provvedimenti poi assunti dal governo a sostegno delle famiglie, delle scuole cattoliche, per la difesa della vita e contro la cultura della morte. Tre anni dopo pensa che quel feeling sia n crisi?
In questi tre anni ci sono stati fatti, non suggestioni, che dimostrano come questo governo sia più in sintonia con la dottrina sociale della Chiesa rispetto al governo che lo ha preceduto, quello di Prodi, il cattolico adulto. Non c’è dubbio che rispetto a tutto ciò che è uscito su Berlusconi ci sia un sentimento di imbarazzo tra i cattolici. Va detto però che tutto ciò che è uscito sul premier non avrebbe dovuto esistere in un paese civile dove esistono le garanzie per tutti i cittadini.  È chiaro che quando Berlusconi viene ‘sputtanato’ pubblicamente e da altri organi dello Stato su come imposta la sua vita privata, la gente reagisce male. Tuttavia nessuno riflette o non vuole farlo, sul fatto che Berlusconi non ha imposto a nessuno il suo stile di vita. A me questo basta per dire: meglio Berlusconi di tutti i suoi moralizzatori.

notizie dal Governo.

Distretti turistico-alberghieri, in vigore le misure per il rilancio dell’economia

Per rilanciare l'offerta turistica a livello nazionale e internazionale, possono essere istituiti nei territori costieri, Distretti turistico-alberghieri a burocrazia zero. Le imprese costituite in rete potranno rivolgersi ad un unico interlocutore per risolvere qualsiasi adempimento di tipo previdenziale o fiscale. Il decreto legge sullo sviluppo, entrato in vigore il 14 maggio, affida una parte importante del rilancio dell’economia italiana alla capacità delle imprese di fare rete avendo a fianco una amministrazione pubblica più semplice e meno invadente. I Distretti turistico-alberghieri hanno l’obiettivo di riqualificare e rilanciare l'offerta turistica a livello nazionale e internazionale, di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori del Distretto, di migliorare l'efficienza nell'organizzazione e nella produzione dei servizi, di assicurare garanzie e certezze giuridiche alle imprese che vi operano con particolare riferimento alle opportunità di investimento, di accesso al credito, di semplificazione e celerità nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. In questi territori, nei quali si intendono inclusi, relativamente ai beni del demanio marittimo, esclusivamente le spiagge e gli arenili, ove esistenti, la delimitazione dei Distretti è effettuata dall'Agenzia del Demanio, previa conferenza di servizi, che è obbligatoriamente indetta se richiesta da imprese del settore turistico che operano nei medesimi territori. Alla conferenza di servizi devono sempre partecipare i Comuni interessati.

Occupazione e formazione dei giovani: nuova disciplina dell’ apprendistato

Riformare l’apprendistato per favorire l’occupazione, sulla base della necessaria integrazione tra formazione e lavoro. Con quest’obiettivo il Consiglio dei ministri del 5 maggio 2011 ha approvato uno schema di decreto legislativo che disciplina il contratto. Tre le tipologie previste: con contratto di apprendistato per la qualifica professionale possono essere assunti in tutti i settori di attività, anche per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione, i giovani che abbiano compiuto 15 anni. Con contratto di apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere possono essere assunti in tutti i settori di attività, pubblici o privati, per il conseguimento di una qualificazione contrattuale i giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni. Per coloro che hanno già una qualifica professionale il contratto può essere stipulato a partire dai 17 anni. Con contratti collettivi e accordi interconfederali vengono stabiliti, in base all’età dell’apprendista e del tipo di qualificazione da conseguire, la durate e le modalità della formazione per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche. Il contratto non può superiore a sei anni. Con contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca possono essere assunti giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni, in tutti i settori di attività, pubblici e privati. In questo caso si tratta di attività di ricerca o per il conseguimento di titoli di studio universitari e di alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, per la specializzazione tecnica superiore, con particolare riferimento ai diplomi relativi ai percorsi di specializzazione tecnologica degli istituti tecnici superiori.

Il Piano nazionale per l’infanzia approda in Gazzetta Ufficiale

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 106 del 9 maggio 2011 il terzo Piano biennale nazionale per l’infanzia, che contiene le linee strategiche fondamentali e gli impegni concreti che il Governo intende perseguire per sviluppare un’adeguata politica per l'infanzia e l'adolescenza e stabilisce le priorità fra i programmi riferiti ai minori, rafforza la cooperazione per lo sviluppo dell'infanzia nel mondo, le forme di potenziamento e di coordinamento fra le pubbliche amministrazioni, le regioni e gli enti locali, individua le modalità di finanziamento degli interventi previsti. Questo Terzo Piano di azione per l'infanzia viene emanato nel ventesimo anno di vigenza della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, punto di arrivo di un cammino iniziato agli inizi del secolo scorso con i primi riconoscimenti dei diritti umani e di cittadinanza al bambino. La novità del Piano riguarda principalmente due dimensioni: rispetto all’approccio: pur non affrontando tutto il complesso delle politiche e dei servizi per l'infanzia e l'adolescenza, identifica alcune direttrici di intervento su cui sviluppare proposte di azioni coordinate rispetto al metodo: adotta un processo partecipato nella fase della costruzione e della sua attuazione attraverso la programmazione di un percorso di accompagnamento e monitoraggio permanenti. Queste le direttrici che rendono più agile il percorso di attuazione del Piano: consolidare la rete integrata dei servizi e il contrasto all'esclusione sociale; rafforzare la tutela dei diritti; favorire la partecipazione per lo costruzione di un patto intergenerazionale; promuovere l'integrazione delle persone immigrate (i minori stranieri ed i minori rom).

Consultazione pubblica per le nuove "Linee guida per i siti web della PA"

Previste da una Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, le linee guida per il 2011 indicano criteri e strumenti per razionalizzare i contenuti on line delle pubbliche amministrazioni, ridurre i siti web pubblici obsoleti e migliorare quelli attivi. Così come l'edizione 2010, questo documento per i prossimi due mesi sarà sottoposto a una consultazione pubblica condotta attraverso un Forum di discussione. Le indicazioni raccolte, saranno utilizzate per una revisione delle linee guida, la cui pubblicazione – in versione definitiva - è prevista per fine luglio. Le Linee guida saranno riviste con cadenza almeno annuale così da fornire con continuità alle pubbliche amministrazioni criteri guida costantemente aggiornati anche tenendo conto degli avanzamenti e dei progressi tecnico-normativi in materia. Destinatari delle Linee guida sono tutte le amministrazioni dello Stato, compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli Enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli Enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al Decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

Istruzione: al via il progetto wi-fi nelle scuole

È partita il 9 maggio l'iniziativa "Scuole in WiFi", che mira a realizzare reti di connettività senza fili negli istituti scolastici italiani per offrire servizi innovativi, sia di tipo didattico sia amministrativo. L'intera scuola, comprese le aule, saranno coperte con una connessione internet senza fili che permetterà a studenti e professori di sfruttare la rete a fini didattici. Gli istituti scolastici coinvolti saranno 5mila per i prossimi mesi e altrettanti entro il 2012. Tutte le istituzioni scolastiche principali statali di ogni ordine e grado possono prenotarsi sul portale Scuola Mia per richiedere la fornitura tecnica. L'iniziativa rappresenta un tassello del più ampio progetto di digitalizzazione "Scuola Mia", presentato nell'aprile scorso dai ministri Brunetta e Gelmini, che prevede, oltre all'introduzione delle reti wi-fi, altre novità come le pagelle digitali, la posta elettronica certificata, le iscrizioni e i pagamenti online. Il kit WiFi è costituito da un insieme di apparati e servizi, finalizzati a consentire alle istituzioni scolastiche di realizzare un collegamento alla rete internet, con tecnologia senza fili, di un'area del proprio edificio (ad esempio l'aula magna, un'aula didattica, un laboratorio d'informatica, ovvero anche più aule didattiche). Le istituzioni scolastiche possono presentare la domanda per la fornitura del kit WiFi fino alle ore 24 del 15 luglio 2011.

Giuliano Pisapia e Bersani dalla parte dell’Islam

Milano è una città ad alta affluenza d’immigrati. Più di centosessanta comunità differenti hanno scelto questa città come luogo di speranza per il futuro. La ragione principale che porta l’essere umano a migrare, ancora oggi, è da attribuire alla povertà e alla disperazione dei singoli luoghi provenienza. Ecco quindi che le nuove dimore per gli immigrati assumono un significato particolare, oltre che come certezza per un futuro migliore, anche e soprattutto come integrazione. Per un migrante, infatti, integrarsi in un nuovo contesto sociale significa spesso rinunciare a parte della propria identità a vantaggio dei differenti valori e tradizioni della società che lo ospita. Basti considerare per conferma, quanto avvenuto ai nostri connazionali espatriati, per i quali le seconde generazioni (se non loro stessi) non parlano neanche più la lingua italiana, a tutto vantaggio dell’acquisizione della cultura e delle tradizioni del posto. 

Per gli aspetti religiosi, seppur con tante e variegate differenze, il fenomeno dell’integrazione assume un significato particolare, soprattutto quando si tratta di ISLAM. L’Arabia Saudita, per i sunniti, e l’Iran, per gli Sciiti, sono le due nazioni per eccellenza del mondo islamico. Per l’Iran, nazione che ha ospitato la prima chiesa cristiana nel 1° secolo DC, quindi di radici cristiane (Armeni), oggi i cristiani sono ridotti a meno di 100.000, su una popolazione di 71 milioni: con sempre maggiori certezze di rischio di estinzione. Certamente non (solo) perché sono perseguitati, bensì perché il concetto di “integrazione” sotto gli Ayatollah ha subito qualche modifica rispetto ai tempi addietro dell’antica Persia e del suo Scià. Nel 1978 erano più di 500.000 su una popolazione di 30.000.000 di persone. 
Per l’Arabia Saudita, a maggior ragione, il problema non esiste: non è accettata altra fede se non quella islamica! Anzi, sarebbe bene che il Giuliano Pisapia si andasse a informare su quanti europei (senza accennare al problema femminile) hanno dovuto abiurare la propria religione per l’Islam, pur di poter lavorare in territorio Saudita. Esiste quindi un ovvio problema di “reciprocità” dal quale non si può prescindere. 

Prima di autorizzare la costruzione di una Moschea a Milano, i responsabili politici italiani dovrebbero assicurare la libertà di culto e di costume degli Italiani che sono costretti a vivere in paesi islamici senza speranza di esercitare la propria fede. Ma sulla Moschea a Milano c’è qualcosa in più della semplice “Reciprocità”. La Moschea, così come è intesa a Milano, è il simbolo essenziale dell’Islam. Islam, non più come sola religione, ma come Stato. Quanto è accaduto con i moti rivoluzionari nell’intero mondo arabo, a prescindere dall’affermarsi o no di modelli democratici, ancora una volta unisce questi moti popolari al concetto base dell’Islam. Il dettame Coranico è una costante che si trova in tutti i paesi arabi, obbligatorio per qualsiasi musulmano, ed è perentorio per i popoli della “Casa della Pace” (Dar Al Salam), la Casa dell’Islam. Quindi, per questi popoli in rivolta, di certo esiste solo l’eventualità della conferma della matrice islamica (speriamo moderata) cui appartengono. Se questo è certezza per il mondo arabo, che cosa succederà a quell’altra parte di mondo che lo stesso Corano definisce la Casa della Tregua, "Dār al-Hudna", dove vivono i popoli non sottomessi, Europa in particolare, incluso Milano? 

Secondo Hegel, filosofo di rimarcata memoria, non è l’individuo a fondare lo Stato ma viceversa, lo Stato a fondare l’Individuo. L’Islam, nella concezione originaria di Maometto (ultimo Profeta inviato da Dio) è uno Stato: l’unione d’individui di differente cultura sotto la sola bandiera della legge coranica! In Europa la popolazione musulmana è cresciuta nell’ultimo decennio a ritmo percentuale più del doppio di quello di altre regioni. E per il futuro la crescita è iperbolica. E’ la civiltà islamica che avanza in una subdola e non dichiarata “occupazione di territorio” per la sempre più certa affermazione dell’Islam, sfruttando quale elemento di “penetrazione” sulle altre culture lo stesso elemento umano. Saremo quindi tutti islamizzati? Forse, anche perché il vero Islam non conosce la dimensione temporale. Purtroppo non si tratta solo di religione! 

Pisapia probabilmente non è neanche credente (sono problemi suoi!). Provi però ad immaginare, in un futuro non molto lontano, sua figlia che arriva a casa dicendogli: “papà, ho conosciuto un musulmano: da domani mi metto il velo per migliorare la mia interiorità”. O rivedere la legislazione italiana in fatto di “eredità”, lì dove la futuribile maggioranza musulmana imporrà “il valore da dare alla donna è la metà di quella dell’uomo”. Per non considerare la condizione femminile dettata dal Corano, per cui le donne saranno sempre “non considerate” alla stessa stregua dell’uomo, soprattutto quale Capo famiglia e responsabile dell’educazione dei figli. L’Islam, nella sostanza, non è solo religione, è costume, cultura e tradizioni: una Civiltà che non ci appartiene e che, per contro, bisognerebbe contrastare perché eccessivamente diversa dalla nostra cultura che, tra l’altro, ha un retaggio civile di tutt’altra specie: Romano, Giudaico e Cristiano!
Quanto Pisapia sta proponendo per Milano è dunque non solo un “tradimento” ideologico nei confronti della cultura di appartenenza, ma è anche un invito al proselitismo musulmano, congenito della civiltà islamica.
di Fabio Ghia

Omnibus, Fiducia dalla Camera

Fiducia incassata dal governo sul dl Omnibus. Alla Camera hanno votato a favore 313 deputati, contrari 291, due gli astenuti. Previsto per domani sera, alle 20 circa, il voto finale sul provvedimento.
Per il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi - che nel momento in cui scriviamo è a Palazzo Grazioli, dove sta incontrando il leader leghista, Umberto Bossi - il voto di fiducia sul decreto Omnibus "e' la conferma che c'e' una maggioranza con cui si puo' lavorare e attuare quel piano importante di riforme che finora, per i contrasti e i veti dentro la maggioranza, non siamo riusciti a fare". Prima di lasciare Montecitorio, il Cav si è intrattenuto nella stanza del governo per alcuni colloqui con esponenti del Pdl e dei 'Responsabili'.
Previsto per domani l'ufficio di presidenza del Pdl che servirà "per prendere atto che c'è questa maggioranza e confermare il programma di governo per i prossimi due anni", ha detto il premier, che ha invece liquidato con un "non ne so nulla" le voci di contatti tra Lega e Pd per una riforma della legge elettorale sul modello proporzionale.
Otto deputati del Terzo Polo, due del Pdl e tre del Pd non hanno partecipato al voto di fiducia. Assenti anche tutti e tre i deputati iscritti alla componente del gruppo Misto Liberaldemocratici-Maie.

COS'E' IL DL OMNIBUS Approvato in prima lettura dal Senato lo scorso 20 aprile, e la cui scadenza è fissata per il 30 maggio, oltre alla rinuncia del governo a costruire le centrali nucleari, il decreto Omnibus comprende tra l’altro uno stanziamento di 149 milioni per il Fondo unico per lo spettacolo (Fus), limiti negli incroci tra giornali e tv e la possibilità della Cassa depositi e prestiti di intervenire in società considerate strategiche.
Nucleare: nel testo approvato dal Senato è stato inserito un emendamento che ha riscritto l'articolo 5 del decreto approvato in Consiglio dei ministri a fine marzo. Il governo è andato oltre la moratoria di un anno già prevista per il nucleare, fermando tutti i programmi sull'energia atomica e la costruzione di nuovi impianti. In pratica l’emendamento abroga tutte le norme che sono oggetto del referendum del 12 e 13 giugno.
Cultura: previsto un contributo di 236 milioni di euro, di cui 149 milioni per Fus, 80 milioni per la manutenzione e la conservazione dei beni culturali, oltre a quelli già previsti in bilancio, e 7 milioni per interventi a favore di enti e istituzioni culturali. Viene soppresso il contributo di un euro sui biglietti cinematografici stabilito nel decreto Milleproroghe. Alla copertura finanziaria di queste misure si provvederà con l'aumento delle accise sulla benzina che colpirà i petrolieri e non l'utente finale.
Infine, viene prorogato al 31 dicembre 2012 il divieto di partecipare in imprese editrici di giornali quotidiani per società televisive che svolgono la loro attività in ambito nazionale e che in base al Sic (Sistema integrato delle comunicazioni) hanno conseguito ricavi superiori all'8 per cento e per quelle società i cui ricavi nelle comunicazioni elettroniche sono superiori al 40 per cento dei ricavi complessivi del settore.


fonte Italia chiama Italia

Notizie da Parma !!

L' analisi economica del Vice Sindaco Buzzi:

"L'opposizione come al solito travisa strumentalmente le cose, mette in bocca o attribuisce affermazioni mai fatte: non abbiamo mai negato le difficoltà a cui il Comune e alcune sue società hanno dovuto far fronte negli ultimi anni. Così come è vero che le previsioni catastrofiche messe in campo dall'opposizione sono sempre state arginate dalle soluzioni che questa Amministrazione ha ricercato e individuato", così il vicesindaco Paolo Buzzi commenta le affermazioni del Pd."Mi risulta - prosegue - che la situazione finanziaria di altre città non sia più florida della nostra. Eppure l'opposizione guarda solo alle difficoltà e non ai benefici che i grandi progetti che vi stanno dietro comporteranno per la città. Così facendo dimostra uno 'strabismò di valutazione impressionante e, come al solito, a senso unico. All'opposizione vorrei chiedere: che cosa vuol dire fermarsi a riflettere per voi che siete solo capaci di gridare 'al lupò e non perdete occasione per denigrare il lavoro di altri? Che cosa vuol dire per voi ravvedimento amministrativo? E' chiaro che nel corso degli anni sono cambiate strategie e persone, ma questo rientra nell'ordine democratico delle cose, diversamente da quel sistema bulgaro al quale, per anni, certe forze politiche hanno fatto riferimento e dove uomini e situazioni erano 'fossilizzatì per questioni che nulla avevano a che vedere con la buona amministrazione. Ostinarsi a definire catastrofica una situazione che è indubbiamente difficile, 'stressarè i lettori con lettere aperte pressoché quotidiane sul 'sesso degli angelì significa solo fare il male di questa città. Anziché denigrare sempre e comunque sarebbe meglio che l'opposizione elaborasse e suggerisse soluzioni".
Inviato da Vicesindaco Paolo Buzzi il 21 maggio 2011 alle 20:19

Pare che per il nostro caro Vice Sindaco il parametro di misura siano le altre città !!! perchè allora non guardiamo paesi del terzo mondo così possiamo sfregarci le mani e dire "fi che fortuna che abbiamo ad avere cotanta amministrazione" ... ma forse se guardiamo i paesi del terzo mondo alla fine non ci sentiremmo poi così fortunati !!!
un saluto a tutti....meno che a Manfredi

Cesare Piazza

martedì 24 maggio 2011

"L'eroe" che ha contestato Berlusconi? 750 provvedimenti penali a suo carico e due richieste di perizia psichiatrica.

Come al solito, le contestazioni contro Berlusconi fanno scalpore e sono riprese con notevole enfasi dalla stampa nazionale. Molto più di una recente sentenza della Corte Costituzionale che ha stabilito che le intercettazioni nei confronti di parlamentari possono essere usate a fini processuali solo previa autorizzazione del parlamento stesso. E molto più della sentenza di assoluzione, perché "il reato non sussiste", pronunciata dalla Corte di Appello di Milano nei confronti di Michele Dell'Utri, accusato del reato di tentata estorsione aggravata dalle finalità mafiose. Due notizie praticamente dimenticate da organi di stampa e tv, mentre la contestazione di un sol uomo contro il premier davanti al Palazzo di Giustizia prima dell'udienza Mills, il 9 maggio scorso, è stata abbondantemente sottolineata. Ma c'è di più: i giornali e anche qualche tv hanno parlato di "sequestro di persona" da parte della Digos, da lì a ruota le accuse di "fascismo" e di "regime". In realtà le stesse riprese televisive hanno dimostrato quanto al buon uomo non sia stato torto un capello, mentre egli stesso gridava e sbraitava come in preda ad una crisi di astinenza.
Ebbene, nessuno si è soffermato sull'identità e la storia del contestatore, auto-definitosi presidente dell'associzione "Avvocati senza frontiere". Qualche giornale ha riportato il nome: Pietro Palau Giovannetti. Da lì non è difficile reperire informazioni su internet.
Cinquantasei anni, Giovannetti sta passando la sua vita a contestare tutto e tutti, soprattutto quelli che egli stesso definisce i "poteri forti" o i "grandi cospiratori". Tempo fa ha minacciato di darsi fuoco per evitare uno sfratto, rifugiandosi in camera da letto con 50 litri di benzina. Con grande gioia, si presume, dei suoi vicini di casa.
Ben due Procure, quelle di Milano e Torino, hanno chiesto una perizia psichiatrica per lui. Alcuni magistrati l'hanno querelato. Dice di aver subito, e probabilmente qualcosa di vero c'è, ben 750 procedimenti penali nella sua vita. Più "perseguitato" del premier, che peraltro a quanto pare odia.
Durante Tangentopoli è riuscito a ricevere querele persino dall'ex capo della Procura di Milano, Francesco Saverio Borrelli. Ha fondato un quotidiano on-line, "La Voce di Robin Hood" (!!!) in cui spiega nel dettaglio le sue battaglie negli anni immediatemente successivi a Mani Pulite. Su internet sostiene di essere vittima da circa 20 anni di una "persecuzione massonico-giudiziaria da parte delle procure di Milano e Brescia, su cui non è stata svolta alcuna indagine". Altro che "Toghe rosse".
Dal 1986, dopo aver fondato il "Comitato per i Diritti dei Cittadini", ha iniziato a denunciare logge massoniche trasversali che controllerebbero tutto, dalla finanza ai media, dalla politica alla giustizia, dalle elezioni ai tribunali. Poi il classico "momento di gloria", il 12 settembre 1996, giorno in cui ha pensato bene di chiudersi per più di quattro ore all'interno del suo appartamento di via Zenale, vicino a San Vittore, minacciando di darsi fuoco per impedire che l'ufficiale giudiziario gli notificasse lo sfratto. Cinquanta litri di benzina in mano, ovviamente mai utilizzati, e tante pagine guadagnate sui giornali. Prima di un lungo silenzio, un oblio, durato tanti anni, fino al 9 maggio 2011. Quale modo migliore per tornare a farsi pubblicità? Facile, contestare Berlusconi. Con una differenza: se fino a quel giorno passava per pazzo e visionario, il 9 maggio è invece riuscito a diventare un "eroe" per una certa parte d'Italia. Succede, basta urlare contro il premier e il gioco è fatto.
  
di Riccardo Ghezzi

Prodi regala la pensione ai parenti degli stranieri, a noi costa 50 mln all'anno.

Il "dono" ci costa 50 milioni all'anno. Chi lavora può chiamare in Italia i familiari: per l'Inps una pioggia di sussidi da 400 a 600 euro mensili. E nei conti si apre un'altra voragine.

Pensioni facili per gli stranieri «ricongiunti», con il beneplacito del governo Prodi, che a febbraio 2007, con un decreto, ha allargato le maglie dei confini per i parenti degli immigrati, alleggerendo i criteri di ammissione delle domande. Di certo l’assegno sociale, pensato per sostenere gli italiani con redditi irrisori, è l’ultimo traguardo a cui mirano stranieri e nuovi cittadini Ue. Un fenomeno allarmante, che l’Inps negli ultimi mesi ha più volte segnalato con toni d’emergenza al Viminale. Della destinazione di quegli assegni (da 395 a 580 euro mensili, più tredicesima) parla in modo critico anche il sindacato di polizia Coisp. «C’è un trend in fortissima crescita nelle comunità straniere, legato ai ricongiungimenti familiari, che permettono a migliaia di ultra65enni d’oltreconfine di incassare i soldi del nostro sistema pensionistico senza aver mai lavorato un solo giorno in Italia», spiega Franco Maccari, segretario del sindacato di polizia.

In pratica, gli extracomunitari con carta di soggiorno e i neocomunitari che lavorano in Italia da tre mesi possono chiedere di farsi raggiungere dai propri genitori, dichiarando di averli «in carico». E questi, una volta qui, hanno diritto a fare domanda per l’«assegno sociale». Un capitolo di spesa da non sottovalutare, considerando le non floride condizioni del sistema previdenziale. «A dir poco quest’anno saranno 50-60 milioni di euro che finiscono nelle tasche degli stranieri, e gli “aventi diritto” sono fatalmente destinati a crescere in maniera esponenziale», continua Maccari. «Non è un problema di razzismo, ma siamo sicuri che un Paese che non riesce a pagare non solo pensioni dignitose ai propri cittadini, ma nemmeno la benzina alle volanti della polizia possa permettersi tanta generosità?».

Alla sede centrale dell’Inps l’allarme è concentrato sui «vicini» dell’Est. Romeni e polacchi, in particolare. Sarebbero loro il vero «pericolo» per le finanze nazionali. A dirla tutta, il fenomeno è difficile da quantificare. I dati non vengono disaggregati per nazionalità del richiedente l’assegno sociale, essendo apolidi e stranieri equiparati agli italiani. L’unica cifra, attendibile fino a un certo punto, che l’Inps è in grado di fornire parla di 18.409 «percettori» nati in Paesi esteri, ma il dato comprende molti italiani nati fuori dai nostri confini. Ma per farsi un’idea della dimensione del problema basta scorrere i dati del dossier Caritas sulle presenze in Italia di romeni (555.997) e polacchi (90.776), dati peraltro da ritoccare al rialzo, considerato che, nel frattempo, la Romania è entrata nell’Unione europea. E il problema, fanno sapere dall’Istituto previdenziale, è proprio questo. «L’allargamento Ue è diventato un punto di forte criticità», spiega un alto funzionario dell’Inps. «Mentre nell’Europa dei quindici i welfare erano economicamente omogenei, la situazione di queste nuove nazioni è decisamente sbilanciata. Eppure l’Ue ci impone di estendere a tutti i cittadini comunitari qualsiasi forma di welfare sia offerta agli italiani. Insomma, abbiamo le mani legate, e per un romeno l’assegno sociale è particolarmente allettante e facile da ottenere».
Basta che il neocomunitario dimostri di avere un reddito in Italia da tre mesi perché possa «invitare» i propri genitori nel Bel Paese e farli diventare assistiti Inps, senza colpo ferire. E c’è di più. L’assegno sociale sulla carta è vincolato alla residenza sul territorio italiano: se il percettore «torna a casa», il suo diritto decade. Se non lo segnala, però, potrebbe continuare a incassare pur non avendone titolo.
Controllare che questo non accada è praticamente impossibile: l’Inps può svolgere controlli solo tramite le anagrafi comunali, e non sono molte quelle in grado di segnalare all’ente previdenziale anomalie e abusi. «È un warning che abbiamo già girato al ministero dell’Interno - spiegano dall’Inps - perché sarebbe vitale contenere almeno le irregolarità. Già così abbiamo enormi difficoltà ad arginare il vistoso incremento di domande di assegno sociale piovute negli ultimi 4-5 mesi per lo più dai romeni».

Una nemesi storica: i romani colonizzarono la Dacia, un Romano ne ha pensionato gli eredi.
  

di Gian Marco Chiocci