E' lunga 675 chilometri la mano che paralizza la scienza, che soffoca i lavori del campus universitario, che ferma un cantiere da cinque milioni di euro. E la mano della camorra, arrivata a Parma al seguito di un imprenditore vittima dei clan, costretto a vivere sotto scorta, minacciato di morte e ridotto sullorlo del fallimento da Michele Zagaria, primula rossa dei casalesi e già noto alle cronache parmigiane per uno sporco affare di riciclaggio di denaro tramite agenzie immobiliare nostrane.
Le grandi aule destinate ad Agraria, Architettura ed altre facoltà carenti di spazio sono ferme da almeno due anni. Il cantiere, aperto nel 2004, per ora è un deserto di erba e cemento, piloni in mezzo alle sterpaglie, gru fantasma. Gli studenti, con email e segnalazioni a Repubblica, chiedono il motivo dellinterruzione dei cantieri.
Quelle strutture, come tante altre opere di Parma, dovevano essere eseguite dalla ditta Emini Spa di Aversa. Lazienda però ha finito con labbandonarli perché sotto il costante giogo della camorra. Tangenti e pressioni, secondo una indagine della Dda di Napoli, comandate direttamente da Michele Zagaria. Il latitante numero uno del clan dei casalesi è accusato di avere preteso tangenti dalla Emini per alcune costruzioni in corso di realizzazione nell'area di sua influenza. Area, quella del Nord Italia, ben definita: Parma, come denunciato dallo scrittore Roberto Saviano in polemica con il prefetto Paolo Scarpis, Modena, e altre zone strategiche dellEmilia.
La Emini ha lunghi trascorsi di appalti sul territorio ducale. Non solo quelli del sottopasso e della tangenziale di via Budellungo (cantieri da otto milioni di euro, abbandonati e riassegnati dal Comune nel 2008), ma anche quelli dellimpianto fognario della stessa area e, appunto, i cantieri per il Polo scientifico del Campus. Altre opere, come il centro servizi amministrativi di Sorbolo, sono invece stati completate negli scorsi anni. Francesco Emini però, titolare dellomonima ditta di costruzioni con oltre duecento dipendenti, stanco di pagare il pizzo, a quanto riferito dalla stessa procura, avrebbe parlato ribellandosi: da allora vive sotto scorta ed è stato vittima di minacce e bombe carta nella sua casa campana. La successiva indagine della Dda ha portato all'arresto di undici persone, tutti elementi di vertice e di spicco del clan dei casalesi, colpevoli di aver estorto denaro all'imprenditore.
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