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venerdì 18 febbraio 2011

all’ennesima affermazione di spocchiosa e dichiarata persistenza nell’illegalità da parte degli amministratori pubblici di Parma.

Risposta della Lega Nord 

"Giornata dell'ospitalità" o delle falsità?
Abbiamo letto le dichiarazioni, inneggianti all’illegalità, dell’Assessore al Welfare, Lorenzo Lasagna che, forse per un contorto e diabolico gioco di squadra, si accomuna all’Assessore all’Urbanistica, Francesco Manfredi, nell’ingannare i cittadini di Parma persistendo nelle loro azioni illegali per quanto riguarda il luogo dove è localizzata la moschea. Vogliamo ricordare ai cittadini che ben due autorevoli tribunali, il Tar di Parma e il Consiglio di Stato, hanno dichiarato che tutto quanto deliberato dal Comune di Parma sulla localizzazione della moschea è illegale e illegittimo: significa che in quel luogo, Via Campanini, la moschea non ci deve stare e non dovevano metterla. Punto!! Tutto il resto, compreso il permissivismo con cui l’amministrazione continua a permettere l’utilizzo illegale di quell’edificio, è fondato sulle bugie, sull’illegalità, sulla falsità. Paradossalmente parlano di “percorso di legalità intrapreso insieme” con la comunità islamica! L’unica verità che ne esce da questa vicenda è l’immagine di una città in cui chiunque può fare ciò che vuole, nella più assoluta illegalità, che tanto nessuno dice niente: ed è l’amministrazione pubblica che per prima deliberatamente e persistentemente agisce contro le norme e le leggi che essa stessa ha deliberato, ricordiamo le tante denunce di irregolarità urbanistiche di questi ultimi anni, e magari vessatoriamente imposte agli altri cittadini. Se questo è il diffuso modo di amministrare il Comune di Parma, ci possiamo spiegare anche le diverse inchieste da parte della G.di F., della Corte dei Conti e persino della Comunità Europea sulle tante sospette irregolarità amministrative, e non solo. Chiedo ancora una volta ai cittadini di Parma: ci possiamo fidare di questi amministratori che proditoriamente calpestano la legge a seconda delle loro necessità e, magari, di quelle degli amici?
Veramente irritanti poi le dichiarazioni di Luciano Mazzoni, presidente del forum interreligioso che, ignorando la Costituzione italiana, chiede una legge sulla libertà religiosa, e di Eugenio Caggiati: le loro dichiarazioni sono un irresponsabile tentativo di trasformare un problema di illegalità urbanistica in un conflitto interreligioso: la loro è solo una azione di strumentalizzazione politica, di viscida prostrazione al qualunquismo purché mediaticamente rilevante, senza reali finalità sociali o religiose e tantomeno indirizzata a promuovere una vera integrazione basata prima di tutto sul rispetto delle leggi e della Costituzione Italiana e non supportando azioni illegali, illegittime, da “furbetti”.

Andrea Zorandi
Segretario sezione di Parma della Lega Nord

mercoledì 16 febbraio 2011

Già ai tempi del Regno di Napoli !!

E’ notizia di oggi che una sentenza della Cassazione ha decretato che la Regione Campania deve sborsare 250 milioni di euro per finanziare 108 mila famiglie campane escluse dalla graduatoria per il sussidio di povertà stanziato dalla giunta regionale nel 2004. L’assegnazione del cosiddetto reddito di cittadinanza, definita dagli organi di stampa "un’elemosina di Stato" fortemente voluta per iniziativa di Rifondazione Comunista, era prevista per le prime 18 mila famiglie in graduatoria. La Corte di Cassazione, con propria sentenza, ha invece stabilito che «una volta accertato il non superamento del limite di reddito la prestazione economica spetta a tutti gli aventi diritto, fra i quali devono essere suddivise le risorse disponibili. Non trova giustificazione, invece, la destinazione delle risorse mediante attribuzione dell’intero importo — nel tetto massimo di 350 euro mensili — ad alcuni soltanto degli aventi diritto, secondo minor reddito, con esclusione degli altri, secondo la distinzione fra “domande ammesse e finanziate” e “domande ammesse non finanziate». Un’altra gatta da pelare per il nuovo governatore della Campania Caldoro, che si trova a gestire un’eredità fin troppo pesante e scomoda. E mai come adesso, risultano di grande attualità le parole che Francesco Nitti scriveva a Giustino Fortunato nel 1901: “Quando io penso a tutte le cose buone che si possono fare, a tutto il male che si è fatto; quando vedo ciò che siamo e ciò che possiamo diventare, non uno sforzo mi pare eccessivo, né una pena più grande. Durerà forse a lungo questo regno dei mediocri?”.

Raffaele

IL VUOTO PROPOSITIVO DELLA SINISTRA !!

Il vuoto propositivo della sinistra di questo Paese viene riempito con i nuovi riti etici, affidati, in modo patetico, alle donne ed ai bambini. Ecco così che al Palasport, nel raduno di Libertà e Giustizia, al cospetto di Roberto Saviano, di Gustavo Zagrebelsky, Umberto Eco, Gad Lerner e Susanna Camusso, a un ragazzino di 13 anni, Giovanni Tarizzo hanno fatto recitare: "Perché il presidente del Consiglio si fa i comodi suoi mentre l'Italia è piena di problemi? Perché lui pensa solo a fare festini ad Arcore mentre c'è gente povera e gente come lui che nuota nell'oro? Guardandomi in giro per le vie di Milano vedo una città maltenuta, sporca, inquinata. Perché tutto questo succede?".
Perché il premier e il governo se ne fregano dell'Italia? Perché ci sono tanti giovani meritevoli senza lavoro e perché il governo non fa nulla per aiutarli? Perché della scuola pubblica ci si occupa solo per tagliare i costi? Perché i modelli dominanti che vengono proposti a noi giovani sono quelli del consumo e dei soldi? Perché le mafie sono ancora così potenti nel nostro Paese e non si fa niente per combatterle?". Quindi una conclusione, che se fosse farina del suo sacco, dimostrerebbe che il ragazzino ha già la stoffa di un giornalista di classe: "Ci sono molte domande senza risposta, ma ciò che spero è che con un nuovo governo ci saranno meno domande e più risposte".
Tutto ciò ha un sapore pedagogico Togliattiano. La sinistra muta il pelo ma non il vizio. C’è però una cosa da aggiungere. I ragazzini di Libertà e Giustizia sono precoci. A tredici anni mettono gli occhi nel buco della serratura, per guardare i “festini”. E imparano a odiare i ricchi, che nuotano nell’oro, mentre c’è tanta povera gente in giro. Il denaro è ancora sterco del demonio. E’ questa la sinistra liberale che si candida a governare l’Italia assieme a Fli e all’UDC?

Raffaele Varricchio

martedì 15 febbraio 2011

QUALE IMMAGINE PER LE DONNE ?

Quando si tratta di dare la maggior importanza possibile al ruolo delle donne nella società moderna, noi siamo sicuramente d’accordo: imprenditrici, parlamentari, libere professioniste, operaie, religiose, insegnanti ma soprattutto mamme e mogli esaltano, con la loro sensibilità e capacità, i settori della società in cui si esprimono e sono spesso sia stimolo che metro di paragone per gli uomini. Quando le buoniste e smemorate appartenenti a certi comitati di difesa della dignità femminile affermano: “questa ricca e varia esperienza di vita è cancellata dalla ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicità, e ciò non è più tollerabile” hanno perfettamente ragione; troppe persone speculano e sfruttano economicamente questa immagine distorta della donna. E’ intollerabile invece che si riconduca l’immagine decadente dell’universo donna alle azioni della singola persona, più o meno importante, che viene identificata come il demone, l’untore della società moderna. Voglio sottolineare che queste signore, dei comitati, sono poi le stesse che osteggiano la lotta alla prostituzione o, perlomeno, alla sua regolamentazione nel nome della libertà della donna.
Ma queste ex sessantottine, promotrici della autodeterminazione della donna, che hanno fatto della libertà sessuale l’emblema della rivalutazione e rivalsa, più che giustificata, della donna sull’uomo (erano loro che usavano lo slogan: “l’utero è mio e me lo gestisco io”) dimenticano troppo facilmente i ruoli che le donne, e molte non erano certo puritane, hanno avuto, da che mondo è mondo, nelle fortune e nelle disgrazie di re, imperatori, monarchi, dittatori, statisti fino al più semplice padre di famiglia; e adesso vogliono far credere, solo per odio politico e per crisi di astinenza dal potere, che tutte le colpe sono di Berlusconi? Credo che, anziché valorizzarle, stiano mettendo in discussione l’intelligenza stessa delle donne promuovendo manifestazioni che sono solo politiche e che non possono avere nessun significato moralizzatore: rileggete la storia, i giornali e le cronache parlamentari per ricordare come il PCI, e poi le sue successive riedizioni, usasse, nel senso spregiativo, le donne. Quante amanti o segretarie particolari sono passate nel parlamento italiano o in tutte le sue emanazioni? Negli anni della rivoluzione femminista e della guerra nel Vietnam, queste stesse signore usavano gridare: “facciamo l’amore e non la guerra”; perché ora hanno cambiato idea? Lottare per degli ideali è giustificato, stravolgere la realtà e la storia è inqualificabile.

Andrea Zorandi
Segretario sezione di Parma della Lega Nord

domenica 13 febbraio 2011

Viaggio nelle Regioni: Dalla burocrazia alle invalidità, chi spreca di più. I conti del federalismo.


Nelle cronache di allora non c’è traccia, ma alla metà degli anni Ottanta, nella riviera ligure di Ponente, deve essere accaduto qualcosa di veramente terribile. La gente ha cominciato a cadere improvvisamente dalle scale, a diventare cieca di colpo e, da un momento all’altro, a non sentire più neanche le campane delle chiese. Un’epidemia di invalidità. Oggi, a Ventimiglia alta e nei piccoli paesini dell’entroterra, come Calvo, Trucco, Bevera, un abitante su quattro riceve una pensione o un’indennità dallo Stato. Proiettando la Liguria ad un certamente poco invidiabile primato tra le Regioni del Nord. Il 3,7% dei liguri, per l’esattezza 79.158 cittadini, risultano assistiti dall’Inps come invalidi. Ben oltre la media nazionale, che è del 3,3% e di per sé è già altissima, essendo il doppio della Germania e della Francia. Lo stesso fenomeno, l’esplosione delle invalidità, si era abbattuto, qualche anno prima, sulla ricca Umbria. La ragione può essere diversa. Quella è terra di santi e di miracoli, ma il risultato non cambia: il 4,6% della popolazione riceve l’assegno. In Toscana, a due passi, la percentuale non arriva al 3,3%, nel Lazio è pari a quasi la metà, il 2,8%. In Trentino alto Adige, l’anno scorso, è stata concessa solo una, dicasi una, nuova pensione di invalidità. Possibile? Ed è sicuro che non esistano le Regioni virtuose, come sostengono i governatori che rifiutano, compatti, i tagli proposti dal governo? Che gli sprechi esistano solo nei ministeri? I bilanci delle Regioni raccontano altro. Parlano di un’Italia divisa in due, di un paese dove il peso della burocrazia può essere in un posto dieci volte più pesante che in un altro, di amministrazioni che funzionano bene e costano poco ai cittadini, e di apparati elefantiaci con dipendenti pagati a peso d’oro. Una divisione, come dicono i dati sulle invalidità, non poi così netta tra il Nord e il Sud. Anche se è soprattutto dai bilanci delle Regioni del Sud che emergono i dati più clamorosi. Quelli sul costo del personale, per esempio. Colletti bianchi a peso d’oro A ogni cittadino della Lombardia i dipendenti della Regione costano appena 21 euro a testa l’anno.
Quasi metà della media nazionale, che è di 44 euro per ogni italiano. Incredibile, ma vero, i siciliani sopportano un costo pari a quasi venti volte quello dei lombardi: 349 euro pro capite! Palazzo dei Normanni, del resto è generoso: per i 20 mila dipendenti della Regione, l’Assemblea stanzia la bellezza di 1,7 miliardi di euro l’anno. Una somma che non è poi tanto più bassa della spesa per il personale di tutte le Regioni italiane messe insieme, che è di quasi 2,4 miliardi di euro l’anno. Con una media di 42.500 euro di stipendio lordo, i dipendenti della Sicilia, aumentati di cinquemila unità tra il 2003 ed il 2008, guadagnano quasi il 40% in più dei ministeriali. Ma vanno in pensione molto prima e con assegni ben più consistenti, che la Corte dei Conti ha calcolato in 2.472 euro a testa. Il fatto che sia una Regione a statuto speciale c’entra poco: l’autonomia fa sì che la Sicilia abbia la titolarità delle funzioni, ma nei fatti non la esercita. A norma di Statuto sarebbe anche proprietaria dei beni demaniali, come lo stesso Palazzo dei Normanni, ma preferisce lasciarli alla gestione dello Stato, forse perché la manutenzione costa. Nelle Regioni a statuto speciale che esercitano davvero le funzioni attribuite, come la scuola, la situazione è del resto ben diversa: in Val d’Aosta l’amministrazione regionale costa 2.207 euro a ogni valligiano, in Trentino Alto Adige 1.775. I veri numeri del federalismo La classifica elaborata partendo dai bilanci regionali riclassificati con fatica dalla Commissione tecnica sul federalismo fiscale e consegnati al Parlamento, «i veri numeri del federalismo » come li definisce il presidente Luca Antonini, vede al secondo posto in Italia tra le Regioni a statuto ordinario il Molise, dove l’amministrazione pubblica costa 187 euro ad ogni cittadino. I molisani sono pochi, appena 321 mila, e questo può in parte giustificare il dato. Una scusa che non vale per il Friuli Venezia Giulia e la Sardegna, altre due Regioni autonome, ma quasi solo sulla carta, dove il costo pro-capite dei dipendenti è pari, rispettivamente, a 161 e 148 euro a testa. Sotto la media nazionale, in questo rapporto, ci sono solo la Lombardia, il Veneto (32 euro per abitante), la Liguria (34), l’Emilia- Romagna (36) e la Toscana (di un pelo, 43 euro contro 44). In tutte le altre il costo dell’amministrazione vola: 93 euro pro-capite per i lucani, 84 per gli umbri, 83 per i calabresi, 76 per gli abruzzesi, 71 per i campani, 64 per i marchigiani, 56 per i pugliesi, 53 per i laziali, 50 per i piemontesi. Ci sono Regioni dove il costo del personale pesa quasi quindici volte più che in altre. Il rapporto tra gli stipendi pagati ai dipendenti e la spesa corrente complessiva, che è poi il criterio che il governo ha proposto in Parlamento per definire la virtuosità delle Regioni e stabilire così chi tra loro dovrà sobbarcarsi il maggior contributo alla manovra antideficit (4,5 miliardi l’anno), della quale i governatori non vogliono neanche sentir parlare, è pari in Lombardia allo 0,85%. In Sicilia, manco a dirlo, arriva al 10,4%: un euro su dieci se ne va per pagare i dipendenti. La media delle Regioni a statuto ordinario è l’1,99% e solo sei sono sotto: la Liguria, il Lazio, l’Emilia Romagna, la Toscana e il Veneto. Tutte le altre sfondano allegramente la soglia.
Dal 5,45% del Molise, al 4,25% della Basilicata, al 3,8% della Calabria. Anche il Piemonte con un rapporto del 2,09%, è sopra la media. Campobasso come Parigi Naturalmente anche il peso del palazzo sulle tasche dei contribuenti è straordinariamente variabile nell’Italia che nega gli sprechi. Il record appartiene al Molise, ma stavolta il fatto che la Regione sia piccola c’entra solo fino a un certo punto. I 56 euro a testa (record battuto solo dal Trentino e dalla Val d’Aosta) dipendono forse anche dagli stipendi d’oro. Con 10.250 euro lordi al mese un semplice consigliere regionale del Molise guadagna più del presidente francese Nicolas Sarkozy, che non arriva a 6.800 euro, anche se è ancora lontano dai 144 mila euro annui dei presidenti della Regione e della Giunta regionale. Pure in Sardegna non si scherza. Lì, dove le Province si moltiplicano a vista d’occhio, il costo medio per abitante degli organi istituzionali arriva a 53 euro, contro una media nazionale di appena 11 euro, sotto la quale ci sono solo Lombardia, Veneto, Piemonte e Toscana (9 euro a cittadino). Diciassettemila sardi, nel 2005, avevano firmato una legge di iniziativa popolare per ridurre gli stipendi dei loro onorevoli rappresentanti. Che quest’anno l’hanno bollata come «non urgente», rinviandone l’esame a data da destinarsi. Ben oltre la media nazionale ci sono la Liguria, con 18 euro a testa, l’Abruzzo (22), la Basilicata (24), la Calabria (38), la Campania (16). E non potevano mancare la Sicilia (31 euro pro-capite) ed il Friuli Venezia Giulia (25). Peccato che non ci siano dati validi per la Puglia, l’Umbria e soprattutto per il Lazio, dove i 73 membri del Consiglio Regionale hanno un appannaggio di 10 mila euro, mentre i 13 assessori ed il Presidente arrivano a 12 mila. L’albero della cuccagna Il federalismo fiscale, con i trasferimenti dello Stato a piè di lista sostituiti da tasse che sindaci e governatori dovranno manovrare per far quadrare i loro conti, promette una rivoluzione. Ma per qualcuno sarà un vero e proprio incubo. I costi della sanità non saranno più calcolati sulla spesa storica, sulla quale negli anni si sono incrostati gli sprechi e il malaffare, ma sulla base dei costi standard, facendo riferimento alla spesa sostenuta dai più bravi. Andrà bene alla Lombardia, alla Toscana, alle Marche, all’Emilia-Romagna, all’Umbria, ma molto peggio da Roma in giù.

Calcolare il costo della sanità per ciascun abitante è poco indicativo, perché non tiene conto della migrazione dei malati, che magari partono dalle regioni meridionali per curarsi in Lombardia (dove la sanità finanziata in modo completamente autonomo costerebbe quasi 2.700 euro a ogni cittadino) o nel Lazio (oggi la spesa sarebbe di 3.349 a testa per ogni abitante della Regione). La realtà di oggi è meglio fotografarla su altri numeri, quelli che parlano di quattro Regioni (Calabria, Campania, Lazio e Molise) commissariate dal governo ed altre quattro (Abruzzo, Liguria, Sicilia e Sardegna) obbligate ai piani di rientro del disavanzo, con uno sforamento complessivo che arriva a 4 miliardi di euro. Piani che fanno acqua da tutte le parti, tanto che il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, l’altro giorno in conferenza stampa si è detto preoccupatissimo. Per avere i conti a posto forse bisognerà aspettare il federalismo, che obbligherà i governatori che sforano i tetti ad aumentare le tasse ai propri elettori molto più di quanto non possano o vogliano farlo oggi. O a chiudere veramente gli ospedali che non servono. Non come succede a Posillipo, la collina più ospedalizzata del mondo, dove ci sono quattro nosocomi e due cliniche universitarie per quattromila posti letto. Che vengono ridotti, un po’ qua e un po’ là, tirando via lenzuola, materassi e cuscini, lasciando però in piedi reparti di radiografia e sale operatorie con relativi medici e specialisti. Forse bisognerà aspettare il federalismo per capire, per dirla con il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, che «la sanità non è l’albero della Cuccagna».

Donne in Piazza per conto di altri !!

Le manifestazioni sono l'espressione collettiva di un pensiero garantito costituzionalmente. Sia chiaro però che non esiste pensiero collettivo: ognuno pensa in prima persona. Le masse quando sono strumentalizzate sono fatte di persone che non pensano in prima persona, perciò manipolate.
Nasce perciò un primo interrogativo sulla manifestazione di Domenica 13. Il pericolo che la manifestazione venga usata o meglio strumentalizzata è palese . Per fermare un uomo in una democrazia costituzionale e rappresentativa la piazza non dovrebbe essere necessaria.
Se per qualcuno la piazza delle Donne, il gossip mediatico, il buco della serratura è diventata l’ultima risorsa vuol dire che qualcuno o molti non hanno fatto quello che dovevano fare quando sarebbe stato più utile per tutto il Paese, democraticamente, politicamente ed economicamente parlando. Per gli appassionati di queste tristezze politiche, solo Italiane, pare siano già allo studio altre puntate dalla regia tutt’altro che occulta !!