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mercoledì 25 maggio 2011

Giuliano Pisapia e Bersani dalla parte dell’Islam

Milano è una città ad alta affluenza d’immigrati. Più di centosessanta comunità differenti hanno scelto questa città come luogo di speranza per il futuro. La ragione principale che porta l’essere umano a migrare, ancora oggi, è da attribuire alla povertà e alla disperazione dei singoli luoghi provenienza. Ecco quindi che le nuove dimore per gli immigrati assumono un significato particolare, oltre che come certezza per un futuro migliore, anche e soprattutto come integrazione. Per un migrante, infatti, integrarsi in un nuovo contesto sociale significa spesso rinunciare a parte della propria identità a vantaggio dei differenti valori e tradizioni della società che lo ospita. Basti considerare per conferma, quanto avvenuto ai nostri connazionali espatriati, per i quali le seconde generazioni (se non loro stessi) non parlano neanche più la lingua italiana, a tutto vantaggio dell’acquisizione della cultura e delle tradizioni del posto. 

Per gli aspetti religiosi, seppur con tante e variegate differenze, il fenomeno dell’integrazione assume un significato particolare, soprattutto quando si tratta di ISLAM. L’Arabia Saudita, per i sunniti, e l’Iran, per gli Sciiti, sono le due nazioni per eccellenza del mondo islamico. Per l’Iran, nazione che ha ospitato la prima chiesa cristiana nel 1° secolo DC, quindi di radici cristiane (Armeni), oggi i cristiani sono ridotti a meno di 100.000, su una popolazione di 71 milioni: con sempre maggiori certezze di rischio di estinzione. Certamente non (solo) perché sono perseguitati, bensì perché il concetto di “integrazione” sotto gli Ayatollah ha subito qualche modifica rispetto ai tempi addietro dell’antica Persia e del suo Scià. Nel 1978 erano più di 500.000 su una popolazione di 30.000.000 di persone. 
Per l’Arabia Saudita, a maggior ragione, il problema non esiste: non è accettata altra fede se non quella islamica! Anzi, sarebbe bene che il Giuliano Pisapia si andasse a informare su quanti europei (senza accennare al problema femminile) hanno dovuto abiurare la propria religione per l’Islam, pur di poter lavorare in territorio Saudita. Esiste quindi un ovvio problema di “reciprocità” dal quale non si può prescindere. 

Prima di autorizzare la costruzione di una Moschea a Milano, i responsabili politici italiani dovrebbero assicurare la libertà di culto e di costume degli Italiani che sono costretti a vivere in paesi islamici senza speranza di esercitare la propria fede. Ma sulla Moschea a Milano c’è qualcosa in più della semplice “Reciprocità”. La Moschea, così come è intesa a Milano, è il simbolo essenziale dell’Islam. Islam, non più come sola religione, ma come Stato. Quanto è accaduto con i moti rivoluzionari nell’intero mondo arabo, a prescindere dall’affermarsi o no di modelli democratici, ancora una volta unisce questi moti popolari al concetto base dell’Islam. Il dettame Coranico è una costante che si trova in tutti i paesi arabi, obbligatorio per qualsiasi musulmano, ed è perentorio per i popoli della “Casa della Pace” (Dar Al Salam), la Casa dell’Islam. Quindi, per questi popoli in rivolta, di certo esiste solo l’eventualità della conferma della matrice islamica (speriamo moderata) cui appartengono. Se questo è certezza per il mondo arabo, che cosa succederà a quell’altra parte di mondo che lo stesso Corano definisce la Casa della Tregua, "Dār al-Hudna", dove vivono i popoli non sottomessi, Europa in particolare, incluso Milano? 

Secondo Hegel, filosofo di rimarcata memoria, non è l’individuo a fondare lo Stato ma viceversa, lo Stato a fondare l’Individuo. L’Islam, nella concezione originaria di Maometto (ultimo Profeta inviato da Dio) è uno Stato: l’unione d’individui di differente cultura sotto la sola bandiera della legge coranica! In Europa la popolazione musulmana è cresciuta nell’ultimo decennio a ritmo percentuale più del doppio di quello di altre regioni. E per il futuro la crescita è iperbolica. E’ la civiltà islamica che avanza in una subdola e non dichiarata “occupazione di territorio” per la sempre più certa affermazione dell’Islam, sfruttando quale elemento di “penetrazione” sulle altre culture lo stesso elemento umano. Saremo quindi tutti islamizzati? Forse, anche perché il vero Islam non conosce la dimensione temporale. Purtroppo non si tratta solo di religione! 

Pisapia probabilmente non è neanche credente (sono problemi suoi!). Provi però ad immaginare, in un futuro non molto lontano, sua figlia che arriva a casa dicendogli: “papà, ho conosciuto un musulmano: da domani mi metto il velo per migliorare la mia interiorità”. O rivedere la legislazione italiana in fatto di “eredità”, lì dove la futuribile maggioranza musulmana imporrà “il valore da dare alla donna è la metà di quella dell’uomo”. Per non considerare la condizione femminile dettata dal Corano, per cui le donne saranno sempre “non considerate” alla stessa stregua dell’uomo, soprattutto quale Capo famiglia e responsabile dell’educazione dei figli. L’Islam, nella sostanza, non è solo religione, è costume, cultura e tradizioni: una Civiltà che non ci appartiene e che, per contro, bisognerebbe contrastare perché eccessivamente diversa dalla nostra cultura che, tra l’altro, ha un retaggio civile di tutt’altra specie: Romano, Giudaico e Cristiano!
Quanto Pisapia sta proponendo per Milano è dunque non solo un “tradimento” ideologico nei confronti della cultura di appartenenza, ma è anche un invito al proselitismo musulmano, congenito della civiltà islamica.
di Fabio Ghia

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