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sabato 2 luglio 2011

RUE: Regolamento Urbanistico Edilizio o Regolamento ad Uso Emotivo?


Nel corso degli ultimi anni l’opinione pubblica si è sempre più interessata e sensibilizzata verso i dibattiti connessi allo sviluppo delle aree metropolitane: diversi aspetti dello stesso problema, ovvero una città a misura d’uomo.
Sempre più spesso sentiamo parlare di regolamentazione dell’attività edile: questi dibattiti si rendono necessari per evitare di finire preda di noi stessi, della nostra “voracità” di territorio, della nostra volontà d’assoggettare tutto ciò che ci circonda al nostro bisogno personale e della visione miope di chi non è in grado di prevedere uno sviluppo omogeneo e funzionale all’intera società.
Fino alla metà del secolo scorso non vi era una vera e propria “coscienza del costruire”. Se è vero infatti che il primo piano regolatore risale al 1865, è anche vero che questo era assolutamente incompleto e soprattutto facoltativo: i Comuni che volevano dotarsi di tale strumento dovevano farne specifica domanda giustificandone anche l’esigenza. Solo dal 1942, con l’entrata in vigore della Legge Nazionale Urbanistica, fu introdotto un nuovo tipo di Piano Regolatore (detto Piano Regolatore Generale o P.R.G.), obbligatorio per tutti i Comuni più importanti, che iniziava a trattare l’argomento in maniera più approfondita per via della crescente necessità di regolamentare l’uso indiscriminato del suolo. Da allora lo strumento urbanistico si è continuamente migliorato e perfezionato fino a giungere agli attuali PSC, POC e RUE.
Riassumendo, il PSC (Piano Strutturale Comunale) è lo strumento primo che detta le linee guida generali per lo sviluppo di tutto il Comune cui si riferisce e lo fa per tutto il tempo che resta in vigore, il POC (Piano Operativo Comunale) riguarda le parti di territorio oggetto di trasformazione nel breve periodo (3-5 anni) ed il RUE (Regolamento Urbanistico Edilizio) definisce gli aspetti regolamentari e normativi relativi all'attività edilizia. Nessuno può prescindere dagli altri due.
L’idea che sta alla base di questi strumenti urbanistici è garantire una moderna visione d’insieme del tessuto urbano (ed extraurbano) e fornire un corretto “modus operandi” volto a modellare la città, plasmandola, modificandola o addirittura ricostruendone porzioni sulle effettive esigenze della propria popolazione in maniera sostenibile, vale a dire affrontando (e si spera risolvendo) tutti i problemi connessi alla convivenza di più entità singole: traffico, risparmio energetico, inquinamento dell’aria, servizi al cittadino, etc…
Ecco quindi che in una simile ottica diventa basilare ragionare per zone omogenee in cui suddividere il territorio urbanizzato. Ad ogni area deve essere associata una propria specificità ed una propria congruità: una ben specifica zona della città deve avere una ben specifica funzione e soddisfare determinati standard urbanistici.
Per rendere più comprensibile il principio che sta alla base del ragionamento, in urbanistica è utile assimilare la città al corpo umano. Nel corpo umano ogni organo ha la propria funzione che non può essere modificata: prendiamo ad esempio il sangue, il cuore serve per pomparlo mentre i polmoni servono ad ossigenarlo, non si possono invertire i ruoli poiché i due organi, seppur agenti sulla medesima materia (il sangue), hanno funzionalità differenti e solo così può vivere il “corpo umano”. Allo stesso modo, per i cittadini, i quartieri artigianali servono per ospitare edifici produttivi mentre i quartieri residenziali servono per ospitare abitazioni e i servizi annessi, entrambi sono strumenti per i cittadini, ma non si devono invertire se si vuol far vivere il “corpo città” poiché hanno funzionalità ed esigenze differenti.
Oggi, nel Comune di Parma, stiamo assistendo ad un’anomalia. Il caso della Moschea di viale Campanini, nel cuore del quartiere artigianale PIP di via Mantova si sta trasformando in un pericolosissimo precedente di mala-pianificazione urbanistica. I sostantivi utili per identificare l’errore che si sta commettendo sono innumerevoli: prepotenza, arroganza, superficialità, inadeguatezza, miopia, noncuranza, ignoranza sono solo alcuni di questi. Permettere l’insediarsi della Moschea (una delle più grandi d’Italia, con una superficie di oltre 1.000 mq) in quel luogo sarebbe come costruire il Duomo di Parma nel centro dello SPIP, con la differenza che a messa non ci si andrebbe la domenica quando le aziende sono chiuse, ma il venerdì tra le 12.00 e le 15.00 quando si lotta contro il tempo per far caricare i trasportatori prima del fine settimana!
Il quartiere PIP è assolutamente inadeguato per poter ospitare una simile struttura: mancano i parcheggi, le strade sono piccole e le attività ivi insediate non sono compatibili con la tipologia dell’edificio in esame (per una miriade di motivi che non stiamo ad elencare in quanto ci interessa di più il punto di vista urbanistico) e con la professione del culto negli orari lavorativi.
Il Comune di Parma continua a fingere di non vedere ciò che è lampante, ovvero che non si tratta di intolleranza, ma di semplice inadeguatezza della posizione.
A tal proposito si sono anche già pronunciati sia il TAR che il CDS emettendo sentenze inequivocabili, basate proprio sull’impossibilità dell’inserimento di una simile attività nel contesto della zona artigianale, che hanno condannato l’operato del Comune di Parma. La Moschea di viale Campanini dovrebbe essere chiusa già da mesi, ma il Comune si sente superiore alla Legge ed addirittura modifica il RUE vigente per tentare di giustificare l’uso improprio del suolo inserendo tra le attività consentite in zona ZP3 (artigianale) anche quella di edifici ed attrezzature per il culto.
Continuando in tale direzione non si fa altro che creare un precedente, una perversa logica secondo la quale è impossibile e riprovevole ammettere di aver sbagliato, è preferibile perseverare nell’errore ed è auspicabile generare caos piuttosto che trovare una soluzione sensata ad un problema.
Il Comune ha inizialmente mal valutato l’ipotesi (sbagliata) che gli era stata sottoposta dai responsabili del Centro Islamico come soluzione del “problema Moschea”. A questo si sarebbe potuto ovviare molto semplicemente trovando una migliore ubicazione della struttura ma avendo assecondato l’errata proposta ci si trova oggi, mediante l’”effetto farfalla”, a fronteggiare qualcosa di gigantesco che potrebbe diventare addirittura un precedente di livello nazionale. A questo punto sta al Comune stesso trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti, ma non può continuare a muoversi nella direzione in cui si è rivolto oggi: il RUE è il Regolamento Urbanistico Edilizio, uno strumento serio ed importante, non può essere un Regolamento ad Uso Emotivo da parte di chi, per capriccio, non vuol ammettere un proprio errore e pagarne le conseguenze.





Maurizio Campari 

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