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sabato 2 luglio 2011

L’ANTIPOLITICA

Ormai la frattura è netta, questo è lapalissiano.
La politica non sembra più il mezzo mediante il quale i cittadini si esprimono, un mezzo per ricercare il benessere della collettività e sorvegliare il corretto funzionamento dello Stato; ma il principale nemico del popolo, un orco, un gigantesco parassita che succhia ogni forma di nutrimento ed energia dal tessuto sociale: con forza inversamente proporzionale a quanto quest’ultimo si trovi in una situazione di debolezza e difficoltà.
Ciò che si percepisce colloquiando con le persone è una visione del personaggio politico come un connubio di potere e privilegi, dedito (ed abilissimo in questa sua dedizione) solo ed esclusivamente ad autoalimentarsi, disgiunto dalla realtà dei fatti e delle cose: una sorta di entità astratta che vive in un limbo dorato privo di ogni nesso e collegamento con il Mondo reale.
Siamo all’anti-politica.
Basta collegarsi ad internet e cercare su wikipedia per avere un primo sommario quadro di quello di cui stiamo parlando. Alla voce antipolitica troviamo infatti la descrizione di diversi sentimenti che oggi sono tanto diffusi quanto, in ultima analisi, inutili per uscire dall’imbuto della crisi in cui siamo calati.
Scorrendo la voce troviamo infatti diverse descrizioni…
L'antipolitica per egoismo
È il rifiuto della politica di colui che lascia volontariamente il compito di governare agli altri: egli si occuperà invece delle sua faccende per vivere nel miglior modo possibile. Sarà comunque coinvolto dalla politica ma egli si manterrà sempre nella cerchia esterna della cittadella del potere. «Tanto non cambia nulla, tanto vale pensare a se stessi».
L'antipolitica per delusione
È questa l'antipolitica di colui che nel corso del tempo è rimasto disorientato e deluso dalla politica così come finora è stata esercitata e che giudica ormai fallimentare: decide quindi di allontanarsene definitivamente chiudendosi nella sfera del suo privato.
L'antipolitica passiva
L'antipolitica, che potrebbe definirsi passiva, è di colui non che ha rinunciato all'esercizio della politica ma che non vi è stato mai coinvolto. Egli è stato sempre l'oggetto della politica mai il soggetto attivo: ha sempre vissuto ai margini della società e la sua vita è stata spesa solo nella ricerca della sopravvivenza. È l'antipolitica dell'incolto che ormai ha capito il trucco sofistico: rifiuta a priori il linguaggio politico che non capisce perché non gli appartiene e che disprezza come puro esercizio verbale.
L'antipolitica attiva
L'antipolitica attiva è di colui che contesta tutto ciò che riguarda le forme della politica condivisa, le strutture della democrazia politica: le accusa di ideologismo, di astrattezza, di inutili procedure, fonti di lungaggini, a cui vuole contrapporre invece un fare, un' azione spiccia, pratica e fruttuosa. Questa è la politica di colui che si professa antipolitico e vuole convincere gli altri a rinunciare all'esercizio politico, a ragionare politicamente, per lasciar fare a lui che ha lo spirito e le capacità adatte al fare, che sa gestire la cosa pubblica.
L'antipolitica acritica
È questa l'antipolitica di colui che contesta tutto ciò che viene dalla politica ma non propone nulla per il cambiamento. In ogni atto politico evidenzia solo gli aspetti negativi e considera ininfluenti quelli positivi, che spesso neppure vede. Il mondo politico così com'è non gli sta bene ma in fondo non sa neppure lui quello che vuole. È questa la classica posizione dell'"uomo della strada", dell'uomo qualunque che ragiona in base al buon senso comune che vede soluzioni facili a problemi che la politica complica inutilmente.
L'antipolitica costruttiva
Antipolitica può significare l'esercizio di colui che contesta il modo di fare politica del presente e auspica un nuovo modo di esercitare la politica. Quindi, non un rifiuto per il rifiuto, ma un opporsi per costruire una politica più vera ed alta. Un'antipolitica che rimane politica.
…che calzano a pennello praticamente tutte quante per questo pessimo, attuale, periodo storico italiano. Tutte tranne l’ultima. Di costruttivo ormai non vi è più nulla tra la gente. Ma tale senso di rovina non è, di per sé, imputabile ad un mancato senso civico della collettività, piuttosto è vero il contrario. Sono le Istituzioni che sembra abbiano perso il senso civico, sono le Istituzioni che derivano verso l’immoralità e la depravazione sia fisica che intellettuale. Assistiamo paradossalmente alla collettività che deve vigilare sui propri organi di governo, che deve moralizzarli e renderli inoffensivi nei propri confronti.
Si entra dunque in un circolo vizioso.
La Società che non può non avere un proprio codice comportamentale ed una propria organizzazione; la Società che é quindi costretta ad eleggere un proprio Collegio rappresentativo; la Società che nel momento stesso in cui nomina un proprio rappresentante lo teme perché tutti i suoi predecessori hanno abusato della propria posizione; la Società che non si sente da esso rappresentata ed anzi si pone in atteggiamento ostile nei suoi confronti proprio perché lo ha eletto; la Società che quindi, in ultima analisi, cerca di destituire e delegittimare chi la sta governando: quando il periodo storico ed economico è, nella maggioranza del sentimento popolare, fondamentalmente positivo e si imputa alla classe dirigente solamente un’incapacità di affrontare e risolvere i problemi dell’elettorato, questo circolo si traduce in una normale alternanza tra le diverse forze politiche (oggi lo chiamiamo bipolarismo); quando invece il periodo storico è particolarmente difficile ed il popolo è esasperato si arriva a forme di protesta violenta fino a giungere a vere e proprie rivoluzioni.
In poche parole quando manca la fiducia nella politica quali sono gli scenari cui si va incontro?
Bene che vada una continua instabilità politica (infinita alternanza tra le forze politiche, mancanza di piani di sviluppo a lungo termine e caduta di Governi), male che vada lo scoppio di tumulti e la guerra civile (ciò che oggi sta succedendo nel Magreb e nel Medio Oriente è l’esempio più calzante che si possa avere).
Si può interrompere questo circolo vizioso?
Si, occorre però riavvicinare la politica alle persone, mettere la politica a disposizione delle persone e far gestire la politica alle persone: proposito questo banale a livello di idea, ma che diventa di entità titanica quando ci si rende conto che poi tale principio deve essere anche “assorbito e fatto proprio” dagli stessi elettori che fino ad oggi sono stati solo delusi da chi lo dovrebbe mettere in pratica.
I vertici della politica non devono e non possono interporre un muro tra essi e i cittadini (ma attenzione che questo ragionamento andrebbe esteso anche a molte altre categorie come ad esempio il ceto bancario o la magistratura), non devono e non possono isolarsi in una sorta di nuvola lontana ed impalpabile, non devono e non possono cercare nella politica personali guadagni e potere.
I politici devono essere dei tramiti, i veicoli dei singoli cittadini per l’accesso all’organizzazione della “Res Pubblica”: la Cosa Pubblica, per l’appunto.
Oggi non è più tollerabile un “modus operandi” differente dalla pedissequa ricerca del bene comune: così come per innalzare un grattacielo serve una solida base, allo stesso modo una grande Nazione (o più in piccolo un efficiente Comune) può stare in piedi solo se tutti i suoi cittadini se ne sentiranno parte attiva.
Lo sforzo della Lega Nord deve essere questo: riavvicinare le persone alla politica, farsi tramite del loro pensiero e dei loro problemi, non dare importanza a quanti metri cubi di cemento vogliono colare i vari costruttori edili sui nostri prati, ignorare i giochi di potere, evitare le speculazioni ai danni dei cittadini, ricordare e riprendere ciò che di buono è stato fatto nella nostra storia e gettar via tutti gli errori che sono stati commessi ed ormai compresi.
La gente è stanca di pagare delle tasse per accontentare ed arricchire delle caste: non è contraria a pagare i servizi che riceve, è contraria a pagare investimenti inutili e dannosi, è contraria a pagare clientelismi, corruzione e malgoverno. Le persone hanno sempre fatto sacrifici quando si sono prefissati un obbiettivo e hanno visto che erano utili e/o indispensabili per il prosieguo ed il fiorire della propria Società, ma per accettare tali sacrifici hanno bisogno di un obbiettivo e di toccare con mano i vantaggi che essi portano a loro medesimi, non al giardino del politico di turno.
La gente vuole sentirsi sicura, non indifesa di fronte a chi è prepotente e si fa forte del fatto che ormai gli unici diritti certi sono solo quelli di chi delinque.
La gente vuole lavoro, non inutili sindacati capaci solo di imporgli tessere politiche o farsi pagare, da quegli stessi extracomunitari di cui si proclama paladino difensore, per servizi che dovrebbero essere gratuiti.
La gente vuole essere aiutata dalle istituzioni, non sfruttata.
La gente vuole scoprire e vivere in armonia con l’ambiente, non averne paura: se faccio un bagno in un fiume o mangio una verdura non voglio aver paura di diventare fosforescente la notte seguente: sono un essere onnivoro che soffre il caldo, non un abat-jour!
La gente vuole poter usare e parcheggiare l’auto senza sentirsi un criminale se vive a 2 km dal centro: le righe blu sono un modo per disciplinare e organizzare la sosta in pochi punti critici della città, non la terza voce di entrate nelle casse comunali!
ANDIAMO AD INCONTRARLA E AD ASCOLTARLA QUESTA GENTE!

Maurizio Campari

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