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lunedì 2 maggio 2011

La battaglia di Giovanni Paolo II contro i regimi comunisti.

E’ venuta da lontano la battaglia di Giovanni Paolo II contro i regimi comunisti. Dalla sua esperienza di polacco, di prete e vescovo polacco, naturalmente, ma anche, e forse soprattutto, dal modo in cui la Chiesa cattolica è stata dentro la storia del XX secolo e ne ha interpretato i moti e le svolte. In particolare dal modo in cui essa ha interpretato la Seconda guerra mondiale. Dal 1945 in poi la grande maggioranza delle opinioni pubbliche europeo-occidentali ha considerato - e tuttora tende a considerare - quel tornante della storia del Novecento come più o meno equivalente a una grande lotta della democrazia contro l’antidemocrazia, felicemente conclusasi con la vittoria della prima. In questa prospettiva erano, e spesso sono ancora, dati per scontati da un lato l’equivalenza tra democrazia e antifascismo, la totale risoluzione della prima nel secondo, dall’altro l’attribuzione esclusiva allo schieramento dell’asse italo-tedesco del monopolio dell’antidemocrazia. Inutile dire che per accreditare questi due assunti è necessario stendere un velo di oblio su una lunga serie di fatti importanti, quali il carattere dell’Urss staliniana, il patto Ribbentrop-Molotov, ma soprattutto la natura del comunismo in quanto ideologia giunta al potere con la Rivoluzione di Ottobre.
Un simile velo d’oblio erano interessati a stenderlo dopo il ’45 i Paesi occidentali per primi: Gran Bretagna e Francia allo scopo di farsi perdonare la politica di «appeasement» nei confronti della Germania nazista, e dunque la loro responsabilità nel consolidamento del regime hitleriano, gli Stati Uniti per farsi perdonare la cecità della politica di Roosevelt il quale non si rese affatto conto, fino all’ultimo, di chi fosse Stalin e quali fossero i suoi progetti per il dopoguerra.
Accadde così che anche durante la «guerra fredda» che dal 1947 in poi oppose gli occidentali all’Unione sovietica, anche dopo l’instaurazione in tutta l’Europa Orientale di regimi dittatoriali di obbedienza sovietica, anche allora l’immagine della guerra rimase presso il grande pubblico quella ricordata sopra. Ciò avvenne anche in virtù di un comprensibile effetto diciamo così psicologico: gli abitanti dell’Europa occidentale avevano visto da vicino fascismo e nazismo, non altro; essi avevano conosciuto l’occupazione militare della Wehrmacht non quella degli eserciti di Mosca: si spiega dunque benissimo che l’idea della Guerra mondiale di gran lunga prevalente fosse quella di una guerra portatrice di libertà.
Non era questa, invece, l’immagine che da sempre ne aveva la Chiesa cattolica: l’impressionante crescendo criminale del nazismo, infatti, non aveva fatto dimenticare a Roma cosa erano la Russia sovietica e il comunismo. Questo continuò ad essere, se così si può dire, la pietra di paragone di ogni regime politico liberticida e anticristiano. Negli anni ’30, durante l’ultimo periodo del pontificato di Pio XI, si assiste per l’appunto alla progressiva equiparazione del nazionalsocialismo al comunismo, accomunati, agli occhi della Santa Sede, dalla medesima ispirazione materialista, dal medesimo disprezzo per la vita umana, dal medesimo ateismo militante. Si può dire insomma, che sia pure in modo inconsapevole e senza fare uso del termine, la Chiesa giunse alla Seconda guerra mondiale avendo fatto propria pressappoco quella categoria di totalitarismo che avrà la sua fortuna nelle culture politiche europee solo un decennio più tardi. Roma visse dunque la guerra e la sua fine in modo assai diverso da quanto fecero tanti altri attori politici e tanti altri cittadini dell’Europa occidentale, dal momento che essa ebbe immediatamente la percezione di ciò che avrebbe significato la liberazione ad opera dell’Unione Sovietica per i Paesi dell’Europa orientale.
Un collegamento esplicito e stretto tra le vicende belliche e il proprio impegno contro i regimi comunisti è lo stesso Giovanni Paolo II a stabilirlo nel messaggio diffuso per il 50° anniversario della fine in Europa della Seconda guerra mondiale. Scrive per l’appunto Wojtyla: «La rapida caduta dei regimi comunisti dell’89 (...) consentiva di eliminare alcune tragiche conseguenze della Guerra mondiale, la cui fine non aveva di fatto significato per molte nazioni europee l’inizio del pieno godimento della pace e della democrazia»; (...) «alcuni popoli, infatti, avevano perso il potere di disporre di sé stessi ed erano stati chiusi nei confini soffocanti di un impero...».
Questa interpretazione storica di quanto avvenuto negli anni ’40 era perfettamente coerente, ripeto, con l’immagine sostanziale delle cose che la Santa Sede aveva sempre avuto. Nel corso dei decenni successivi tale immagine, però, si era andata sbiadendo sia a causa degli inscalfibili rapporti di forza tra Est e Ovest, sia perché la voce dell’Est, soffocata dalle persecuzioni, si era inevitabilmente andata spegnendo, ma anche perché, a partire dagli anni ’60, l’ansia di conciliazione con la modernità manifestatasi con il Concilio aveva indotto molti a credere che la modernità fosse anche il comunismo, e che dunque anche con esso fosse da ricercare non solo un qualche inevitabile modus vivendi ma addirittura, forse, un’intesa e una pace.
Ma non poteva essere questa, invece, la convinzione dei popoli dell’Europa orientale per i quali, in un certo senso, la Seconda guerra mondiale in quanto guerra contro il totalitarismo doveva ancora vedere la fine. Non poteva essere questa la convinzione del Papa. Lo scontro che Giovanni Paolo II ingaggia con il comunismo subito dopo la sua elezione ha la propria decisiva premessa per l’appunto in un’immagine del conflitto mondiale che, lungi dal legittimare storicamente quell’ideologia in quanto avversaria del nazismo (secondo la versione a lungo adottata in Occidente), viceversa la delegittima radicalmente proprio in quanto ombra gemella del nazismo e sua complice e imitatrice nell’oppressione dei popoli: il Papa chiamerà l’una e l’altra le «infami ideologie», responsabili di «quella sorta di apocalisse della quale sono stato testimone nella mia giovinezza». Contro l’ultima di esse ancora in vita Wojtyla alzerà il suo grido di libertà che, raccolto dapprima dai polacchi, diventerà in breve grido di libertà per un numero immenso di esseri umani.
di Ernesto Galli della Loggia

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