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martedì 12 luglio 2011

De Benedetti e la sinistra, storia di un'alleanza che ha svenduto l'Italia

La Fininvest deve risarcire la Cir di De Benedetti per "danno economico da perdita di chance". «Appare più aderente alla realtà del caso determinare concettualmente il danno subito da Cir come danno da perdita di chance. Vale a dire, posto che nessuno sa come avrebbe deciso una Corte incorrotta, certamente è vero che la corruzione del giudice Metta privò la Cir della chance di ottenere da quella Corte una decisione favorevole» questa una parte della sentenza della Corte d'Appello di Milano. La Fininvest, in attesa della Cassazione, deve quindi pagare 560 milioni alla Cir di De Benedetti che ha fatto crac per 1.120.000 euro. Già questa è un'anomalia. Altra anomalia: in primo grado, il giudice Mesiano ha deciso da solo la penale che la Fininvest avrebbe dovuto corrispondere, 750 milioni di euro, senza avvalersi di consulenze tecniche. Al di là della sentenza penale, acclarata, sulla corruzione, ci sono molti interrogativi irrisolti per quanto riguarda l'aspetto civilistico della vicenda. Non stupisce: De Benedetti gode di tutti gli appoggi possibili.
Chi sia Carlo De Benedetti, è noto ai più. Colui che, entrato in Fiat, ha cercato di sfilarla agli Agnelli, i quali l'hanno sbattuto fuori senza complimenti. Acquistata la Olivetti, l'ha spolpata fino a portarla al fallimento. Entrato nel Banco Ambrosiano di Calvi ed accortosi di quanto stava accadendo, ha ricattato quest'ultimo facendosi liquidare con 60 miliardi: condannato in primo grado ad oltre sei anni, l'ha passata liscia per prescrizione. Che, come gli anti-berlusconiani sanno bene e ripetono ancora meglio, non è assoluzione. Si può dire che lo squalo del capitalismo italiano abbia portato a termine il suo miglior affare con l'acquisto della tessera n. 1 del Pd, investimento che gli potrebbe rendere 560 milioni grazie alla complicità di una Procura che sembra proprio simpatizzare per quella parte politica.
Gli "intrallazzi" tra De Benedetti e il centro-sinistra durano in realtà da anni. E spesso sono stati sinonimo di grandi e oscure manovre, soprattutto con Prodi presidente dell'Iri e poi premier.
La complicità tra Romano Prodi e Carlo De Benedetti inizia nel luglio 1982, quando il primo è nominato presidente dell'Iri, il più grande ente economico statale, proprio nell'attico dell'Ingegnere, suo grande amico. Il tutto su indicazione di Ciriaco De Mita. Per 7 anni Romano Prodi guida l’Iri italiano, concedendo pure incarichi miliardari alla sua società di consulenza "Nomisma", con un evidente conflitto di interessi. Al termine dei 7 anni prodiani il patrimonio dell’Iri sarà dimezzato a causa della cessione di importanti gruppi quali Alfa Romeo e Fiat.
Nel 1985 Prodi, con un contrattino di appena 4 pagine (anzichè centinaia come si usa abitualmente) a trattativa privata, tenta di svendere il più grande gruppo alimentare dello Stato, la Sme, alla Buitoni di De Benedetti per soli 497 miliardi di vecchie lire. La Sme all'epoca ha nelle proprie casse più di 600 miliardi di denaro liquido, ed il suo valore globale è di ben 3.100 miliardi. Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio, si oppone con fermezza alla svendita. Nel maggio dello stesso anno la Fininvest di Berlusconi, con la Barilla e la Ferrero, propone un'offerta superiore. Arrivano altre cordate e il regalo di Prodi a De Benedetti è scongiurato. L'Ingegnere però insiste: pretende in tribunale che l'intesa sia riconosciuta come un contratto impegnativo per l'Iri. Gli danno torto tre gradi di giudizio, fino alla Cassazione, ossia ben 15 magistrati all'unanimità. Nonostante questo, il pm Francesco Saverio Borrelli, diventato famoso per Mani Pulite, decide di incriminare penalmente Silvio Berlusconi e la Fininvest sulla base del sospetto che la decisione dei giudici sia stata influenzata da un versamento di tangenti, da parte della Fininvest, al magistrato Filippo Verde e all'ex capo dei Gip di Roma Renato Squillante. Un'inchiesta partita in seguito alle rivelazioni di Stefania Ariosto, esattamente come accaduto per il lodo Mondadori. Nel 2004 Berlusconi è assolto per non aver commesso il fatto. Il 30 novembre 2006 la Corte di Cassazione stabilisce infine che la Procura milanese non avrebbe mai dovuto iniziare le indagini, in quanto non competente, ed annulla le sentenze emesse dal Tribunale di Milano. Per la cronaca, negli anni '90 la Sme sarà ceduta a pezzi, per un totale di 2.500 miliardi.  Un po' più di 497.
Gli affari tra De Benedetti e Prodi continuano, e vanno finalmente a buon fine, quando quest'ultimo diventa presidente del Consiglio. Nel 1997 il governo Prodi svende Infostrada, di proprietà dello Stato, a De Benedetti per 700 miliardi di lire spalmabili in ben 14 anni. De Benedetti rivende Infostrada immediatamente, dopo aver pagato solo la prima rata, alla tedesca Mannesmann (società che era entrata nel capitale Olivetti, casualmente) per 15.388 miliardi: più di 20 volte il prezzo d'acquisto
Non basta: nel 2001, quando ancora c'è il governo di centro-sinistra in carica, l'Enel, azienda il cui azionista di riferimento è il ministero dell'economia e quindi lo Stato, riacquista Infostrada dalla Mannesmann, nel frattempo fusasi con la Vodafone, alla cifra di 16.500 miliardi di lire http://www.01net.it/articoli/0,1254,1_ART_10886,00.html. Con la "privatizzazione" di Infostrada, voluta da Prodi, lo Stato fa un "affarone": a conti fatti sborsa 15.800 miliardi di lire, di cui 15.388 finiscono nelle tasche di De Benedetti (bello guadagnare così!) e  500 in Germania nelle casse della Mannesmann. Ufficialmente, sia chiaro, in quanto in realtà, per quanto riguarda l'acquisizione di Infostrada da parte dell'Enel, si parla di cifre maggiori: 22.000 miliardi, come da preaccordo, versati alla Mannesmann. In questo caso il prelievo dalle casse statali sarebbe di circa 21.300 miliardi.  Il manager di Infostrada, Lorenzo Necci, prova ad opporsi in tutti i modi a questo ladrocinio ai danni delle casse pubbliche, ma è subito incriminato, incarcerato, esposto alla forche caudine dei giornali della sinistra, in gran parte di proprietà di De Benedetti stesso. E poi, ovviamente, assolto dopo una lunga ed interminabile persecuzione giudiziaria http://www.ilsussidiario.net/News/Cose-non-dette/2010/10/27/INCHIESTA-5-Conti-alla-mano-ecco-chi-ha-guadagnato-dalla-privatizzazione-di-Infostrada/3/122249/. Questo è quello che di solito succede a chi mette i bastoni tra le ruote a De Benedetti, come si può ben notare. A dire il vero, Lorenzo Necci fa una fine persino peggiore, ma di sicuro in modo del tutto casuale
 Una fine che però temeva
Ma non finisce qui. Nel 1997, sempre il governo Prodi svende le azioni Telecom al solito prezzo irrisorio, tanto che subito dopo il valore di mercato aumenta di sei volte. Lo Stato italiano incassa 26.000 miliardi di vecchie lire: la Telecom ne vale assai di piùhttp://www.tesoro.it/ufficio-stampa/comunicati/?idc=124. Presidente di Telecom in quel momento è Guido Rossi, avvocato di De Benedetti. In seguito all'operazione, gli azionisti di punta sono in grado di controllare il 6,6% del capitale ed il maggiore tra questi, Umberto Agnelli (0,6%), nomina un amministratore delegato, Gian Mario Rossignolo, che si rivela un disastro
Cacciato Rossignolo, con una congrua liquidazione, è chiamato Franco Bernabè. Nel 1998 al governo arriva Massimo D'Alema, nel frattempo l'amico di De Benedetti Roberto Colaninno, attraverso l'Olivetti, inizia la "scalata Telecom". Ancora una volta si verificano irregolarità finalizzate a mantenere il prezzo basso, ma la Consob, autorità che deve sorvegliare questi reati, all'epoca è presieduta da Luigi Spaventa, altro amico di De Benedetti. Per cui chiude entrambi gli occhi. Colaninno, tramite una serie di società fantasma, arriva a controllare Telecom con appena lo 0,3% delle azioni, tanto che persino il Financial Times definisce la scalata "una rapina in pieno giorno" http://www.rainews24.rai.it/it/news_print.php?newsid=8780. A fine 1999, i rapporti tra Colaninno e De Benedetti cominciano però a deteriorarsi. Colaninno, così, è massacrato da Repubblica, Espresso e dagli altri giornali del "padrone", oltre che dall'Ingegnere in persona con grande risalto sui media nazionali pure non di sua proprietà
Nel 2001,  De Benedetti decide di allearsi a Marco Tronchetti Provera, il quale strappa agevolmente il "dominio" di Telecom a Colaninno, acquistando la quota di controllo in Olivetti. Ma si accorge subito di essere stato raggirato: dalle casse mancano 25.000 miliardi. Telecom Italia è ormai una società con debiti fino al collo, l'unica possibilità di salvarsi è rivendere la baracca allo Stato. Niente paura, ad aprile 2006 torna al governo Romano Prodi, il quale fa il solito accordo sottobanco con Tronchetti Provera e il socio De Benedetti, ma stavolta qualcosa non va per il verso giusto. I due squali alleati, De Benedetti e Tronchetti Provera, litigano su chi deve avere la fetta più grossa, per cui, come al solito, Espresso e Repubblica iniziano ad infangare Tronchetti Provera per mesi. E come se non bastasse il gruppo Espresso lo querela pure
Prodi deve scegliere da che parte stare e opta ovviamente per il più rassicurante De Benedetti, non volendo fare la fine di tutti gli "sputtanati" da Repubblica ed Espresso.  A quel punto Tronchetti Provera per vendicarsi fa pubblicare il progetto segreto di Prodi sul riacquisto della Telecom (il "piano Rovati") suscitando un' aperta indignazione, ben presto però insabbiata e messa a tacere in Italia dai giornali di De Benedetti che rispondono prontamente dando ampio risalto allo "scandalo delle intercettazioni",  che come manna dal cielo (ma che strano!) scoppia proprio nel settembre 2006 (Telecom-Sismi, Giuliano Tavaroli, Marco Mancini, Emanuele  Cipriani e il suicidio di Adamo Bove). Prodi ha buon gioco nel difendersi inventando la storiella "Non ne sapevo nulla, la colpa è solo del mio collaboratore Rovati" (amico di Prodi da una vita, abitano persino nello stesso palazzo) riscontrando ampio credito da parte dell'accomodante stampa nazionale.http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2006/09_Settembre/14/rovati.shtml. La stampa estera, cara agli anti-berlusconiani soltanto quando critica Berlusconi, fa a pezzi l'Italia soprattutto perché si stupisce del fatto che non parta alcun procedimento giudiziario.  Ci sono semmai le dimissioni del capro espiatorio Angelo Rovatihttp://www.wallstreetitalia.com/article/407661/telecom-rovati-dopo-dimissioni-potro-spiegare-mie-ragioni.aspx che però una volta calmatesi le acque tornerà all'ovile, diventando nel 2007 nientemeno che uno dei 45 membri del Comitato nazionale di promozione del Partito Democratico.
Come è andata finire si sa: Tronchetti Provera, ormai inimicatosi governo e De Benedetti, si dimette
 http://www.corriere.it/Primo_Piano/Economia/2006/09_Settembre/15/tronchetti.shtmled alla guida di Telecom torna Guido Rossi, fedele amico di De Benedetti, celebrato anche da interviste accomodanti su Repubblica tipo questa
 Inutile parlare pure di Telekom Serbia e dello scandalo Seat-Otto (la "Otto", società di Dario Cossutta, figlio del comunista Armando), si andrebbe fuori tema. Ci sarà tempo in articoli successivi sul blog.
Attenzione, un tentativo di alleanza Prodi-De Benedetti è stato abbozzato pure per Alitalia. A gennaio 2007 il governo Prodi avrebbe dovuto dare il via alla vendita della compagnia aerea. Tra i concorrenti, una cordata formata da De Benedetti (poteva mancare?) e la banca Goldman Sachs, protagonista cruciale di quasi tutte le privatizzazioni italiane (qualcuno ricorda la vicenda del panfilo Britannia?)
Prodi ha lavorato per anni alla Goldman Sachs, la quale lo ha sempre ricoperto d'oro per le sue preziosissime "consulenze". Alla Goldman hanno lavorato quasi tutti gli amici e i collaboratori di Prodi, ad esempio Mario Draghi (ex vicedirettore della Goldman, poi governatore della Banca d'Italia) e Mario Monti. Claudio Costamagna, presidente della Goldman Sachs fino a febbraio 2006, è colui che ha pagato buona parte della campagna elettorale di Prodi per le elezioni dello stesso anno. Ma se lo definiscono "prodiano" si arrabbia pure http://blog.panorama.it/italia/2007/06/21/costamagna-basta-con-questa-storia-di-essere-considerato-un-prodiano/. Sempre in Goldman Sachs, è stato direttore Massimo Tononi, poi diventato sottosegretario all'economia di Prodi. L'intero vertice Goldman Sachs, in pratica, in quel momento è al governo. Le cose però vanno per le lunghe, De Benedetti pian piano si ritira
 http://www.repubblica.it/2007/01/sezioni/economia/alitalia7/alitalia-m-c/alitalia-m-c.html e l'ennesima svendita con vendita successiva a prezzo superiore (alla Air France?) non riesce.
La storia sta continuando a Milano, dove Giuliano Pisapia ha recentemente vinto le ultime elezioni amministrative. Pisapia è stato avvocato di parte civile della Cir, il gruppo di Carlo De Benedetti, durante il processo Sme ed è tuttora avvocato della famiglia De Benedetti. Marco De Benedetti, figlio di Carlo, è invece amministratore delegato del gruppo Carlyle Italia, società di private equity che si occupa di acquistare aziende ed enti pubblici a prezzi di saldo per poi rivendere sul mercato a cifre notevolmente più alte. A Milano, il gruppo Carlyle ha già concluso proficui investimenti: due immobili commerciali in via Della Chiusa e due edifici al civico 184 di via Gallarate. Con Pisapia sindaco, la scusa della crisi e la conseguente "necessità di svendere patrimoni pubblici", chissà se Carlyle Italia farà altri affari nel capoluogo lombardo. Non si accettano scommesse.
Dunque, perché stupirsi se De Benedetti è ben visto dalla procura di Milano, che certo non disdegna la sinistra? 

1 commento:

  1. Grandissimo! Perfetta analisi degli intrallazzi di De benedetti e la sinistra. E pensare che c'è ancora gente che ha il paraocchi e continua a seguire gli "amici dei proletari", questi che dovrebbero difendere i lavoratori... loro che hanno creato le cooperative, dove lavori per cinque euro l'ora e se non ti sta bene, te ne vai tanto cio sono una sfilza di extracomunitari pronti a prendere il tuo posto

    P. S. (su Alitalia hai dimenticato di scrivere che volevano svenderla all' Air France)

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