Sembra strano, ma il giornalista che disprezza i processi d'appello ritendoli "scontifici" e si scaglia contro la prescrizione, asserendo che "non è sinonimo di assoluzione", ha fatto ricorso alla Corte d'appello ed è stato "salvato" dalla prescrizione. Marco Travaglio, il moralizzatore d'Italia, non solo predica bene e razzola male, ma accusa gli altri parlando di se stesso.
Anche se la notizia recentemente è stata riportata su alcuni siti e blog, non tutti sanno che Travaglio è stato condannato per diffamazione nei confronti di Cesare Previti a causa di un articolo scritto per L'Espresso nel 2002. Titolo del pezzo un roboante "Patto scellerato tra Mafia e Forza Italia", svolgimento incentrato sulle promesse che Forza Italia avrebbe fatto alle cosche. E che non ha portato a termine solo perché nel 1994 il governo Berlusconi è durato poco, 7 mesi. Ad esempio è curioso notare come nel "programma di Cosa Nostra" che Berlusconi avrebbe dovuto realizzare, secondo Travaglio, fosse inserito "l'indulto di tre anni", diventato realtà anni dopo con Mastella, ministro del governo Prodi, ma è inutile andare fuori tema. In quell'articolo Travaglio citava fantomatici appunti contenuti in un taccuino di un colonello della Dia, Michele Riccio, che avrebbe raccolto le rivelazioni di un pentito, tal Luigi Ilardo ucciso in un agguato di mafia il 10 maggio 1996.
Peccato che Travaglio esageri nella manipolazione del verbale, inducendo il lettore a ritenere, erroneamente, che Cesare Previti abbia partecipato "ad un summit nello studio di un altro avvocato eccellente, Carlo Taormina, per depistare le indagini per mafia su Marcello Dell’Utri". Previti trascina Travaglio in tribunale e vince la causa, il giudice gli dà ragione ritenendo che il giornalista abbia compiuto «Una cesura arbitraria che ha modificato il senso della frase travisando il fatto». Otto mesi di reclusione e 100 euro di multa per il "moralizzatore" di Anno Zero, risarcimento di 20 mila euro per Previti e condanna anche per Daniela Hamaui, in qualità di direttore responsabile del settimanale, a 5 mesi e 75 euro di multa.
Cosa fa allora Travaglio? Ricorre al Giudice d’Appello che, l’8 gennaio 2010, pur confermando la condanna di primo grado, gli commuta la pena ad una multa di 1.000 euro. Buffo ricordare come molte agenzie, tra cui l'Ansa, quel giorno abbiano battuto la notizia titolando "La sentenza d'appello cancella la condanna in primo grado", non vero perché in realtà la condanna è stata confermata. Ancor più ironico che soltanto un giorno prima Travaglio, davanti alle telecamere di Anno Zero, abbia pronunciato la frase «Le Corti d’appello molto spesso sono degli scontifici rispetto ai primi gradi», con il suo tono saccente e fastidioso e l'ovvia intenzione di dare una connotazione negativa ai processi d'Appello. Evidentemente era piacevolmente conscio del suo destino.
A quel punto, la Procura Generale poteva soltanto attendere il deposito della sentenza di secondo grado per poter far ricorso in Cassazione. Il solerte giudice d’Appello, però, invece di impiegare due mesi per scrivere le motivazioni, come si era impegnato a fare, ce ne ha messi ben dodici. E il reato è caduto in prescrizione. Così il "moralizzatore", pur condannato in primo e secondo grado, si è salvato. Ed ora si scaglia contro prescrizioni e politici che ne beneficiano, Berlusconi in primis.
Ora, visto che lo stesso Travaglio più volte cita la sentenza della Corte Costituzionale n. 275 del 1990, la quale ha stabilito che l'imputato possa rinunciare alla prescrizione (“La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.157 del codice penale nella parte in cui non prevede che la prescrizione del reato possa essere rinunziata dall’imputato“), non è fuori dal mondo chiedere a Travaglio ciò che egli stesso pretende dal politico di turno (o forse solo da Berlusconi) nei suoi sermoni davanti alle telecamere che tanto esaltano i popoli viola: "Caro Travaglio, perché non rinunci alla prescrizione e ti fai processare??"
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