Integrazione e identità sono due termini che non si combinano facilmente. Per un emigrato, infatti, integrarsi in un nuovo contesto sociale significa spesso rinunciare a parte della propria identità, a vantaggio dei differenti valori e tradizioni della società che lo ospita. Basti considerare per conferma, quanto avvenuto ai nostri compatrioti negli Stati Uniti, nazione tra l’altro giudicata il simbolo del multiculturalismo.
Per contro, i figli di emigrati italiani nati e cresciuti negli USA, mantengono ben poco dell’essere italiano (prima fra tutte la lingua) a guadagno di una perfetta integrazione nel nuovo mondo. Questo fenomeno lo si può osservare, nella stragrande maggioranza, in qualsiasi parte del mondo, a meno dei flussi migratori che si rifanno alla civiltà islamica.
Negli ultimi anni molte firme di rilievo (Prof. Sartori, Severnigni, Paolo Branca, F. Rizzi, Prof. Boeri ecc.) hanno affrontato il tema dell’integrazione degli immigrati musulmani in Italia. La fonte più autorevole è forse Magdi Cristiano Allam, già Vicedirettore del Corriere e ora Europarlamentare. Sul sito del suo movimento "Io amo l’Italia", l’On. Allam, musulmano di origine convertitosi lo scorso anno al Cristianesimo, individua nella società italiana una crisi d’identità che facilita la possibilità di affermazione di nuovi valori sociali “importati” dall’affermazione dell’Islam in Europa. Nella sostanza, a causa della crisi di valori che stiamo vivendo e nel nome di quel falso multiculturalismo proposto dalla sinistra italiana, un immigrato musulmano trova terreno utile per imporre comportamenti sociali che non ci appartengono. Tempo fa scrissi che era in atto uno “scontro tra civiltà”; un’avanzata massiccia quanto silenziosa di una cultura musulmana in Europa, che rischia di intaccare le radici più profonde dell’identità cui la stragrande maggioranza dei Paesi europei fa riferimento. Il crescente numero di musulmani ne è una dimostrazione. Secondo recenti studi il tasso di crescita dei musulmani in Europa è su valori pari a più del doppio di quelli delle altre religioni monoteiste: 1,5% contro lo 0,6%, che nella pratica porteranno i Musulmani europei a una percentuale del 12,3% (95 milioni) nel 2030, contro l’attuale 6,2% (45,2 milioni). Il che già desta perplessità considerando che, se realmente i musulmani (la stragrande maggioranza di nuovi immigrati) dovessero seguire le leggi generali dei flussi migratori, tendendo al criterio generale dell’integrazione al nuovo contesto di vita, dovrebbero comunque farsi assorbire dalla nuova cultura occidentale, di chiare radici giudaico-cristiane.
Per contro, i figli di emigrati italiani nati e cresciuti negli USA, mantengono ben poco dell’essere italiano (prima fra tutte la lingua) a guadagno di una perfetta integrazione nel nuovo mondo. Questo fenomeno lo si può osservare, nella stragrande maggioranza, in qualsiasi parte del mondo, a meno dei flussi migratori che si rifanno alla civiltà islamica.
Negli ultimi anni molte firme di rilievo (Prof. Sartori, Severnigni, Paolo Branca, F. Rizzi, Prof. Boeri ecc.) hanno affrontato il tema dell’integrazione degli immigrati musulmani in Italia. La fonte più autorevole è forse Magdi Cristiano Allam, già Vicedirettore del Corriere e ora Europarlamentare. Sul sito del suo movimento "Io amo l’Italia", l’On. Allam, musulmano di origine convertitosi lo scorso anno al Cristianesimo, individua nella società italiana una crisi d’identità che facilita la possibilità di affermazione di nuovi valori sociali “importati” dall’affermazione dell’Islam in Europa. Nella sostanza, a causa della crisi di valori che stiamo vivendo e nel nome di quel falso multiculturalismo proposto dalla sinistra italiana, un immigrato musulmano trova terreno utile per imporre comportamenti sociali che non ci appartengono. Tempo fa scrissi che era in atto uno “scontro tra civiltà”; un’avanzata massiccia quanto silenziosa di una cultura musulmana in Europa, che rischia di intaccare le radici più profonde dell’identità cui la stragrande maggioranza dei Paesi europei fa riferimento. Il crescente numero di musulmani ne è una dimostrazione. Secondo recenti studi il tasso di crescita dei musulmani in Europa è su valori pari a più del doppio di quelli delle altre religioni monoteiste: 1,5% contro lo 0,6%, che nella pratica porteranno i Musulmani europei a una percentuale del 12,3% (95 milioni) nel 2030, contro l’attuale 6,2% (45,2 milioni). Il che già desta perplessità considerando che, se realmente i musulmani (la stragrande maggioranza di nuovi immigrati) dovessero seguire le leggi generali dei flussi migratori, tendendo al criterio generale dell’integrazione al nuovo contesto di vita, dovrebbero comunque farsi assorbire dalla nuova cultura occidentale, di chiare radici giudaico-cristiane.
Se si guarda ciò che è accaduto in Francia, nazione europea a più alto tasso d’immigrati musulmani (7,5% della popolazione - pari a 4.250.000, rispetto al 3,1% del 2000, con previsione di crescita al 14% per il 2030), ci si rende ben conto che il musulmano è esente da interferenze d’identità se questa va a interessare la sua estrazione religiosa. A meno del caso di Cristiano Allam - che tra l’altro nel convertirsi al cristianesimo ha messo a repentaglio la propria vita, giacché giudicato “apostata” dalla propria religione d’origine -, la storia dimostra che un musulmano tale rimane sino alla morte (e oltre!). La cultura civile musulmana è satura del dettame Coranico e, in quanto tale, persiste l’obbligatorietà del precetto: Islam = sottomissione, obbedienza a Dio. Se questo è certezza per l’intero mondo arabo, la “Casa della Pace” (Dar Al Salam), il dettame islamico vincola il comportamento del musulmano anche in quell’altra parte di mondo ("Dār al-Hudna") dove vivono i popoli non sottomessi, Europa in particolare. L’uso del velo ne è un esempio, così come il concetto di “obbedienza” al volere del capofamiglia, la condizione femminile connessa alle particolari responsabilità educative dell’uomo.
Il paradosso più evidente si costata in Italia nei matrimoni misti con donne cristiane. La legge italiana, in particolare, non consente “contratti” pre-matrimoniali, ma il matrimonio civile (o religioso in chiesa) è accettato da parte musulmana solo se registrato, con apposito “contratto” presso una Istituzione islamica (Municipalità – consolati, ambasciate, ecc) che, secondo formato standard, assegna all’uomo la responsabilità educativa dei figli, secondo dettame coranico. Ecco quindi che, nel caso il matrimonio vada in crisi (molto spesso), il padre, andando contro la legislazione italiana, prende i figli e li porta nella terra d’origine, dove le leggi locali vedono assegnare i figli al padre. Nei paesi arabi più evoluti che consentono l’assegnazione dei figli anche alla madre, questa non può espatriare: i figli sono comunque considerati musulmani e vanno protetti in ambito nazionale.
Ancora una volta, quindi, è evidente che l’Islam è una civiltà che non ci appartiene. La continua espansione di questa nuova cultura in Europa va combattuta rivitalizzando la propria identità e i valori essenziali della cultura occidentale. Se veramente gli immigrati musulmani vogliono integrasi, l’Europa non può accettare modifiche al sistema sociale imposte dalle leggi coraniche. Non si tratta certo di questioni religiose, bensì sociali. La nostra civiltà e cultura comportano un sistema di vita ormai consolidato, che si è evoluto nella storia millenaria della nostra civiltà. E’ sempre più evidente la necessità di intervenire a difesa delle nostre radici e della nostra identità nazionale, vietando e/o intervenendo contro comportamenti sociali che esulino dai canoni classici di vita della nostra Europa
Fabio Ghia - Italia chiama Italia
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