Ci sono delle sorprese contenute nei dati rilasciati ieri da Eurostat sull'andamento del deficit e del debito nell'area euro e nei paesi dell'Unione Europea. Stando a quanto riportato dall'agenzia statistica del Lussemburgo, il rapporto deficit/PIL dell'area euro si attesta al 6% (6,4% per l'Europa a 27), mentre il rapporto debito/PIL si afferma a 85,1% (80,0%). Tuttavia, mentre il trend del primo è decrescente (si è infatti ridotto di - 0,3% rispetto al 2009 nell'area euro e di - 0,4% nella UE), quello del secondo è lievitato di ben + 5,8 punti percentuali (+ 5,6 per l'area UE). Inoltre, il rapporto tra spesa pubblica e PIL si è ridotto di - 0,4% (- 0,5% per l'area UE), ma si attesta su valori ancora superiori al 50,0%, una soglia che certifica la ancora eccessiva pervasività dello Stato nel sistema economico. Rimane invece sostanzialmente inalterato il gettito statale.
Per quanto riguarda i singoli paesi, Eurostat certifica che i maggiori rapporti deficit/PIL riguardano Irlanda (- 32,4%), Grecia (- 10,5%) e Regno Unito (- 10,4%). L'Italia, con un -4,6%, si colloca in una situazione moderatamente equilibrata. I problemi, per il nostro paese riguardano invece il rapporto debito/PIL che si attesta a 119,0%, subito dopo quello della Grecia (142,8%) e davanti a quello di Belgio (96,8%) e Irlanda (96,2%).
Per quanto riguarda i criteri utilizzati nella certificazione dei dati, l'Eurostat rende noto che alcuni paesi, tra i quali la Germania ed il Regno Unito, sono stati messi a confronto con le conseguenze generate dalla crisi bancaria e dalla necessità di contabilizzare le attività che hanno perso valore (impaired assets). In alcuni casi, questa pratica ha comportato la creazione di strutture pubbliche da parte del governo al solo scopo di assorbire direttamente la perdita potenziale generata delle attività più critiche. Secondariamente, l'agenzia statistica ha pubblicato i dati relativi ai prestiti tra i vari Stati dell'Unione Europea, principalmente, per l'anno 2010, alla Grecia. Infine, sono stati pubblicati i dati relativi agli interventi governativi dall'anno 2007 al 2010 istituiti per far fronte alla crisi finanziaria globale.
A seguito di queste revisioni, possiamo notare come, in valore assoluto, lo stock di debito pubblico più elevato di Eurolandia sia quello della Germania, pari a 2.498.800 milioni di euro, seguito da quello della Francia (1.947.576 milioni), dell'Italia (1.548.816 milioni) e del Regno Unito (1.453.616 milioni). A conti fatti, quindi, anche paesi tradizionalmente reputati finanziariamente "solidi" fronteggiano un problema di sostenibilità del debito pubblico, anche se tale rischio viene attenuato una volta che lo stock di debito viene rapportato alla ricchezza nazionale. Tuttavia, gli effetti dell'insostenibilità di un debito come quello tedesco non sarebbero lontanamente paragonabili a quelli generati dallo squilibrio del debito greco che ammonta a "soli" 230.173 milioni di euro.
E così, a conti fatti, sulle finanze pubbliche l'Italia non sembra messa poi tanto peggio dei principali big player mondiali. Gli Stati Uniti, che fino a pochi mesi fa sembravano incolumi dagli sviluppi della crisi dei debiti sovrani, si preparano a manovre finanziarie “lacrime e sangue” per far fronte ad un debito pubblico che ormai si aggira sui 14,5 trilioni di dollari, tanto da portare Obama a dichiarare che la situazione dei conti pubblici non è più sostenibile e a prevedere un taglio del deficit pari a 4mila miliardi di dollari nei prossimi 12 anni. Anche la Germania, i cui bund rappresentano al momento la fonte d'investimento più sicura a livello internazionale, dovranno adottare qualche misura per ridurre l'ammontare di stock totale.
E, intanto, le cattive notizie fornite da Eurostat hanno di nuovo causato tensioni sui mercati finanziari, con i rendimenti dei titoli di Stato dei paese riconosciuti come periferici (Grecia, Portogallo e Irlanda) di nuovo ai massimi storici, mentre l'outstanding legato ai credit default swap dei PIGS si attesta ormai a 330 miliardi di dollari. Ed una nuova parola spaventa i paesi che sembrano non essere più in grado di raggiungere l'obiettivo del consolidamento fiscale: ristrutturazione del debito. Tale ipotesi, ormai non più remota, porterebbe conseguenze devastanti sul sistema bancario e potrebbe, secondo alcuni economisti, eccedere gli effetti causati dal crack di Lehman Brothers.
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