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sabato 23 luglio 2011

L'ostracismo della Fiom mette a rischio gli investimenti Fiat in Italia

La sentenza “Pomigliano” mette a rischio gli investimenti di Fiat in Italia. La notizia è di ieri: il giudice di Torino ha deciso di ritenere accettabile la creazione della Newco, ma al contempo ha sentenziato che non è possibile escludere la Fiom dai nuovi contratti. Una sentenza che di fatto apre le porte ai ricorsi individuali da parte degli iscritti alla Fiom nel gruppo Fiat.
La risposta di Sergio Marchionne è stata immediata. L’amministratore delegato della casa automobilistica ha infatti deciso di congelare gli investimenti per la Nuova Panda che dovevano arrivare nello stabilimento di Pomigliano d’Arco. L’investimento di Fiat in Campania non è di poco conto dato che per fare rientrare la produzione della “piccola” torinese erano stati programmati 700 milioni di euro. A questo punto non è solo il progetto Pomigliano d’Arco ad essere a rischio, bensì l’intero piano “Fabbrica Italia” che prevede un investimento totale per raddoppiare la produzione italiana pari a 20 miliardi di euro. Questo decisionismo è tipico di Marchionne, che non aveva avuto dubbi al momento di spostare la produzione della monovolume Fiat da Mirafiori alla Serbia, quando il governo serbo aveva messo sul piatto centinaia di milioni di euro per fare arrivare la casa automobilistica italiana.
Lo stesso affare Chrysler si può dire abbia seguito la via del sussidio. Il governo americano ha deciso di salvare la casa di Detroit nazionalizzando, di fatto, il gruppo automobilistico. Fiat ha saputo cogliere l’attimo ed è entrata in Chrysler spendendo ben pochi soldi e con un trasferimento tecnologico. Un’ottima mossa per l’azienda torinese che, attualmente, si ritrova ad avere una Chrysler in recupero nel mercato americano. Nel primo semestre dell’anno vi è stato un sorpasso significativo. Chrysler ha venduto più auto negli Stati Uniti di quante ne abbia vendute nello stesso periodo Fiat in Europa. Questo cambio è epocale, perché fa ben comprendere che l’azienda, guidata da Sergio Marchionne, è ormai un player internazionale.
La riorganizzazione aziendale di Fiat, avvenuta ieri, va proprio in questa direzione. La creazione di quattro macro-aree evidenzia che la casa automobilistica torinese non è più un’azienda solamente italiana. Le debolezze del gruppo si trovano nei mercati in più rapido sviluppo, Cina e India in primis. In questi due mercati, che sono il futuro dell’auto, l’azienda torinese quasi non vanta alcuna presenza. Le joint-venture con i cinesi e con gli indiani non hanno dato finora i risultati sperati e questa è la fonte di maggiore di preoccupazione. Fiat rischia di essere il quinto o il sesto player sia nel mercato europeo che in quello americano, senza quasi alcuna presenza nei grandi mercati del futuro.
Una buona parte della politica e del mondo sindacale italiano ancora non hanno compreso che Fiat non è più solo un’azienda italiana. È necessario un cambio culturale, dove si favorisce l’arrivo d’investitori esteri in Italia. Non è possibile che l’intera produzione di veicoli in Italia sia legata solo a Fiat. Questo è dovuto ad una politica miope che nel tempo ha favorito un’incentivazione alla domanda tramite il “doping” dei sussidi alle vendite. Così facendo il nostro Paese ora produce meno auto della Repubblica Ceca e un terzo di quante ne produca la Gran Bretagna, che da anni non vede un produttore nazionale sul proprio suolo.
Per attirare gli investimenti è necessario anche un cambio delle relazioni sindacali. Una parte del sindacato lo ha compreso, mentre la Fiom no. Il preseguimento di questa battaglia da parte del sindacato della Cgil avrà la sola conseguenza che Fiat uscirà dalla produzione italiana. Non è infatti un segreto che l’Italia sia una fonte di perdita per la casa automobilistica. La riorganizzazione contrattuale, il famoso “contratto Pomigliano”, permetteva di legare maggiormente il salario alla produttività aziendale. Un fatto positivo che faceva avanzare l’Italia. La sentenza non esclude la possibilità di accettare questa maggiore contrattazione di secondo livello, ma l’ostracismo della Fiom può invece bloccare gli investimenti italiani di Fiat.

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