Clandestinità è reato: lo dice anche la Cassazione.
In una rara dimostrazione di sanità mentale, la Cassazione ha di fatto
confermato che la clandestinità è reato. Nonostante gli schiamazzi di Boldrini
e congolese.
I giudici della Corte infatti, con la sentenza n.
24877/13, hanno confermato la pronuncia di secondo grado che ha inflitto la pena
pecuniaria di 5000,00 euro a un extracomunitario che, in violazione
dell’art. 10bis del D.Lgs. n. 286/1998, dimorò in territorio italiano senza
essere provvisto di permesso di soggiorno.
Contro la sentenza di condanna in appello, vi fu,
incredibilmente, l’impugnazione del Procuratore Generale – ovvero chi dovrebbe
rappresentare in un certo senso la pubblica accusa – il quale argomentò contro
la sentenza d’appello, che, secondo lui, la norma contrastava con la
nostra Costituzione e le norme europee. Con questa sentenza la Cassazione dà ragione
alla Corte d’Appello e torto al Procuratore Generale, affermando una volta per
tutte che il reato di ingresso e permanenza illegale sul territorio
italiano è conforme alla nostra Costituzione (come affermato dalla stessa
Corte Costituzionale con sent n. 250/10) e non contrasta nemmeno con la Direttiva UE
115/2008 (così come anche esplicitamente sancito dalla Corte di Giustizia
Europea con la decisione del 6/12/12).
Secondo la
Cassazione infatti, la norma che prevede il reato di
immigrazione clandestina “non punisce una condizione ontologica” (la condizione
di straniero), ma una precisa condotta penalmente rilevante: l’essere, lo
straniero, penetrato nel territorio nazionale illegalmente, e cioè in
violazione delle norme che regolano i flussi migratori, che lo Stato italiano è
legittimato a controllare.
Insomma, le frontiere esistono, e lo Stato ha il diritto – e
il dovere – di farle rispettare in nome della comunità dei cittadini italiani.
Resistono, anche nella magistratura, sacche di buon senso.
Dedicato a tutti gli italioti pseudoantirazzisti.
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