A sentire la sinistra che critica la proposta di legge – passata al vaglio della commissione costituzionale – che vieta (come in altri paesi europei) il burqa e/o il niqab, pare che stiamo facendo un torto al multiculturalismo: questo mantra progressista che più cerco di capirlo e più capisco quanto sia una grande cazzata. Perché è chiara la domanda che mi pongo (e che dovreste porvi): che significa multiculturalismo? In nome del multiculturalismo noi possiamo non solo rinunciare ai nostri valori e i nostri princìpi di libertà, ma pure accogliere (e legittimare) nella nostra cultura un evidente simbolo di sottomissione della donna all’uomo? Perché è questo il burqa/niqab: un simbolo di umiliazione della donna, il simbolo stesso della sua sottomissione e del suo essere oggetto per il piacere e per la realizzazione dell’uomo.
Se è pur vero che la donna nuda o mezzo spogliata è esempio di un concetto possessivo e materialistico del corpo femminile, altrettanto lo è quell’indumento che, nascondendosi dietro giustificazioni «religiose» o «culturali», riduce la donna a un subordinato, a una schiava di un usanza che la considera se non come un essere inferiore, un essere comunque asservito a uno scopo che non sempre coincide con la legittima realizzazione personale (e che anzi, spesso, mira a frustrarla). Ed è indubbio che questo contrasti in modo pressoché evidente con i princìpi della nostra Costituzione, secondo la quale niente e nessuno può e deve creare discriminazione fra i sessi. Donna e uomo sono sullo stesso piano e sullo stesso piano devono restare. La religione, la fede, e qualsiasi altra credenza o usanza sociale possono contribuire ad arricchire i princìpi di libertà e uguaglianza, ma mai dovranno impoverirli o contraddirli.
Ecco perché in un paese civile non si può e si deve far passare la difesa di uno strumento di umiliazione e sottomissione, basato sulla discriminazione sessuale, come difesa della libertà degli individui, e come tutela del loro diritto a seguire le proprie usanze e la propria cultura. È chiaro che deve esistere un limite ontologico e oggettivo a qualsiasi importazione culturale/sociale che contrasti con i nostri princìpi supremi e con il concetto stesso di libertà. Perché per essere davvero realizzata la libertà necessita di una limitazione. Sembra un paradosso, ma non lo è. Il concetto di libertà se portato alle estreme conseguenze, comporta la compressione di se stessa. La libertà assoluta legittima chiunque a porre limiti alla libertà altrui, in quanto la libertà così intesa è priva di limiti e garantisce solo la prevalenza della legge del più forte… o del più libero. Da qui l’esigenza chiara ed evidente della limitazione della libertà; una limitazione che deve trovare i propri argini nei valori fondanti che rendono una società libera, e nei princìpi e i meccanismi che garantiscono la parità degli individui dinanzi alla legge e dinanzi a loro stessi. Il burqa e il niqab – così come ogni altro esempio di sottomissione di un individuo dinanzi alla legge o ai suoi simili – minano la libertà delle persone, rendendone alcune (le donne) inferiori, per il sol fatto che una concezione di fede o di usanza le considera tali. E questo non può essere accettato. La libertà comporta che niente e nessuno possa barattare la dignità degli esseri umani con un atto di fede o con una regola sociale che affonda le proprie radici in un concetto tribale e medievale della società.
L’Italia con questa proposta di legge – che mi auguro diventi legge a tutti gli effetti – fa un enorme passo avanti verso un concetto di libertà che non è certo quella teorizzata dagli pseudo-liberali (oggi a sinistra), che confondono la libertà con il diritto (e l’arroganza) dell’individuo di fare quel che più gli pare in nome della libertà, senza alcun tipo di limitazione. La vera libertà è quella che pone dei limiti all’egoismo umano, e questi limiti trovano la loro ratio nei princìpi supremi della dignità umana, la quale non può scendere a compromessi con nessuna norma religiosa o sociale che in nome della fede o dell’usanza tende a cancellarla, comprimerla o frustrarla.
Se è pur vero che la donna nuda o mezzo spogliata è esempio di un concetto possessivo e materialistico del corpo femminile, altrettanto lo è quell’indumento che, nascondendosi dietro giustificazioni «religiose» o «culturali», riduce la donna a un subordinato, a una schiava di un usanza che la considera se non come un essere inferiore, un essere comunque asservito a uno scopo che non sempre coincide con la legittima realizzazione personale (e che anzi, spesso, mira a frustrarla). Ed è indubbio che questo contrasti in modo pressoché evidente con i princìpi della nostra Costituzione, secondo la quale niente e nessuno può e deve creare discriminazione fra i sessi. Donna e uomo sono sullo stesso piano e sullo stesso piano devono restare. La religione, la fede, e qualsiasi altra credenza o usanza sociale possono contribuire ad arricchire i princìpi di libertà e uguaglianza, ma mai dovranno impoverirli o contraddirli.
Ecco perché in un paese civile non si può e si deve far passare la difesa di uno strumento di umiliazione e sottomissione, basato sulla discriminazione sessuale, come difesa della libertà degli individui, e come tutela del loro diritto a seguire le proprie usanze e la propria cultura. È chiaro che deve esistere un limite ontologico e oggettivo a qualsiasi importazione culturale/sociale che contrasti con i nostri princìpi supremi e con il concetto stesso di libertà. Perché per essere davvero realizzata la libertà necessita di una limitazione. Sembra un paradosso, ma non lo è. Il concetto di libertà se portato alle estreme conseguenze, comporta la compressione di se stessa. La libertà assoluta legittima chiunque a porre limiti alla libertà altrui, in quanto la libertà così intesa è priva di limiti e garantisce solo la prevalenza della legge del più forte… o del più libero. Da qui l’esigenza chiara ed evidente della limitazione della libertà; una limitazione che deve trovare i propri argini nei valori fondanti che rendono una società libera, e nei princìpi e i meccanismi che garantiscono la parità degli individui dinanzi alla legge e dinanzi a loro stessi. Il burqa e il niqab – così come ogni altro esempio di sottomissione di un individuo dinanzi alla legge o ai suoi simili – minano la libertà delle persone, rendendone alcune (le donne) inferiori, per il sol fatto che una concezione di fede o di usanza le considera tali. E questo non può essere accettato. La libertà comporta che niente e nessuno possa barattare la dignità degli esseri umani con un atto di fede o con una regola sociale che affonda le proprie radici in un concetto tribale e medievale della società.
L’Italia con questa proposta di legge – che mi auguro diventi legge a tutti gli effetti – fa un enorme passo avanti verso un concetto di libertà che non è certo quella teorizzata dagli pseudo-liberali (oggi a sinistra), che confondono la libertà con il diritto (e l’arroganza) dell’individuo di fare quel che più gli pare in nome della libertà, senza alcun tipo di limitazione. La vera libertà è quella che pone dei limiti all’egoismo umano, e questi limiti trovano la loro ratio nei princìpi supremi della dignità umana, la quale non può scendere a compromessi con nessuna norma religiosa o sociale che in nome della fede o dell’usanza tende a cancellarla, comprimerla o frustrarla.
Articolo pubblicato sul blog il Jester http://www.iljester.it/italia-divieto-di-burqa-niqab-velo-islamico.html
Fonte Blog: questa è la sinistra Italiana
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