Santoro contro la Rodotà . La sinistra si scanna su Bmw e vino francese.
Meglio lo champagne bianco o rosé? Meglio la seta o il cachemire? Meglio Saint Moritz o Saint Tropez? Meglio la tartare o il pâté de foie gras? Poi dicono che la sinistra non sa discutere: le solite cattiverie. Basta leggere il serrato dibattito fra due degli intellettuali di punta della cultura progressista italiana, Michele Santoro e Maria Laura Rodotà, per capire che nel profondo dell’animo democratico ci si interroga con rigore. Magari ci si dimentica di porre alcune questioni marginali, del tipo: che sviluppo economico vogliamo? Quale sarà la nostra politica estera? Quale sarà la nostra politica sull’immigrazione? Ma, ecco, sui temi importanti che lacerano le coscienze ci si accapiglia con passione. Per esempio: meglio il salmone selvaggio scozzese o quello norvegese? Come risolvere l’antico dualismo gastro-nipponico fra Zuma e Nobu? Il Brunello di Montalcino vale più del Barolo? E soprattutto: meglio il Bordeaux Cheval Blanc o una verticale di Château Mouton?
Peccato che non ci siano più i Quaderni piacentini, altrimenti se ne poteva fare anche un numero speciale. Magari con un bel saggio di Goffredo Fofi o Asor Rosa. Il tema, si capisce, è di quelli che appassionano le masse operaie: ad aprire le danze Maria Laura Rodotà, intellettuale di sinistra, figlia di intellettuale di sinistra e cocca degli intellettuali di sinistra, che ha scoperto non senza un po’ di sgomento di essere d’accordo con il Giornale: «Signora mia, che cosa mi sarà mai successo?», avrà pensato, schifata da se stessa. E poi, superato la schifo, ha avuto la brillante idea di guadagnarsi la giornata al Corriere della Sera senza rovinare il suo Chanel n. 5 con il sudore della fronte. E dunque ha ricopiato l’articolo con tanto di rigorosa citazione, che fa fine e non impegna.
Peccato che non ci siano più i Quaderni piacentini, altrimenti se ne poteva fare anche un numero speciale. Magari con un bel saggio di Goffredo Fofi o Asor Rosa. Il tema, si capisce, è di quelli che appassionano le masse operaie: ad aprire le danze Maria Laura Rodotà, intellettuale di sinistra, figlia di intellettuale di sinistra e cocca degli intellettuali di sinistra, che ha scoperto non senza un po’ di sgomento di essere d’accordo con il Giornale: «Signora mia, che cosa mi sarà mai successo?», avrà pensato, schifata da se stessa. E poi, superato la schifo, ha avuto la brillante idea di guadagnarsi la giornata al Corriere della Sera senza rovinare il suo Chanel n. 5 con il sudore della fronte. E dunque ha ricopiato l’articolo con tanto di rigorosa citazione, che fa fine e non impegna.
L’articolo in questione prendeva di mira gli intellettuali di sinistra, pasdaran della scuola pubblica, che mandano i loro figli nei più esclusivi istituti privati. Titolo del pezzo: «Il genitore progressista e la scuola status symbol». Esecuzione modesta, quel tanto che basta per dare l’idea che lo stipendio non è del tutto rubato. Il fatto è che fra i due o tre esempi citati dalla Rodotà (senza nomi e cognomi, per carità: citare nomi e cognomi non è chic, al massimo è giornalismo) tira in ballo «il conduttore tv» che iscrive la figlia «alla scuola francese della Roma benissimo». Non l’avesse mai fatto. Bastano quelle due righette anonime per scatenare una reazione smodata del «conduttore tv» con la coda di paglia: Michele Santoro, che ormai soffre di un evidente prolasso verbale, verga una lettera lunga quattro colonne per smentire, cuore di papà, che la scuola francese della figlia sia privata (?!) pur ammettendo che essa è costosa (?!). Ma anziché limitarsi a replicare sulla questione della scelta scolastica (fatta, dice, «senza rimorsi» e con «spavalda determinazione»), babbo Santoro accende il dibattito come fosse una puntata di Annozero. E pone, per l’appunto, alcune questioni fondamentali per l’uomo di sinistra: posso continuare a bere Bordeaux? Posso usare la mia Bmw? E soprattutto posso farlo senza sentirmi «in contrasto con le mie convinzioni»?
Ora è chiaro che uno che ha la «spavalda determinazione» di pagare una retta salata a una scuola statale solo perché è statalmente francese, può fare di tutto. Del resto Santoro deve avere risolto da tempo il contrasto con le sue convinzioni pauperiste, almeno se è lo stesso Santoro che non disdegna di farsi vedere alle sfilate di moda milanesi nel parterre extralusso di Giorgio Armani. Ma il dibattito, ormai, è lanciato. E, dopo la breve risposta di Maria Laura Rodotà, ci aspettiamo dunque i prossimi interventi, da Gad Lerner a Umberto Eco, da Moni Ovadia a Carmen Llera Moravia, il gotha dell’intellighentia di sinistra, insomma, tutti a porsi le domande fondamentali per la nostra esistenza: champagne Dom Pérignon o Perrier-Jouët? Cravatte Marinella o Hermès? È ancora trendy farsi fare le scarpe da John Lobb a Londra? È ancora chic andare a Saint Moritz dopo che c’è stato pure D’Alema? E se la risposta è sì: alla sera meglio festeggiare al Dracula o al King’s Club? Meglio i sarti inglesi o quelli napoletani? E come schierarsi di fronte alle nuove frontiere del design culinario di Anna Coquet e Delphine Huguet? La cucina molecolare è eterna o è già finita? Che ne pensate di Ferrán Adriá? E della provocazione gastronomica del maestro Yoshihiro Narisawa alla recente rassegna Paris des Chefs?
Temi interessanti, discussione intensa. Certo: magari davanti ai cancelli di Mirafiori non riusciranno a cogliere tutte le sfumature di rosé, magari i disoccupati e i precari non ce la faranno ad apprezzare la profondità della riflessione aperta da Santoro-Rodotà. Ma che ci volete fare? Gli intellettuali di sinistra sono fatti così: quando decidono di andare a fondo nelle questioni, non li ferma più nessuno. Vanno a fondo. Ma proprio in fondo in fondo. Manco fosse una fondue bourguignonne.
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