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mercoledì 5 dicembre 2012


Italia, 2012: si può “infibulare” una bimba se l’incisione è ...minimale e simbolica…

A marzo 2006 è stato arrestata una coppia di genitori nigeriani residente a Verona, perché aveva fatto infibulare una delle sue due bambine e stava per far infibulare l’altra. E per la prima volta fu applicata nel nostro Paese la fin troppo nuova legge sulle mutilazioni genitali femminili (mgf), voluta dall’allora ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna.
Due anni dopo, i genitori delle bambine sono stati condannati ad 8 anni e 4 mesi in primo grado, ma pochi giorni fa, essi sono stati assolti in appello “perché il fatto non costituisce reato”. Secondo la difesa, nel caso specifico della bambina che aveva già subito l’intervento non si sarebbe trattato di una vera e propria infibulazione. Alla piccola sarebbe stato praticato “una piccola incisione” che, secondo il parere dei consulenti della difesa, “non avrebbe pregiudicato lo sviluppo sessuale con la crescita”1. E senza quella le piccole sarebbero state discriminate, considerate impure e quindi senza possibilità di sposarsi, nel Paese e nella tribù d’origine dei genitori, quella dei Bini (peccato che vivessero in Italia!).
Si è trattato di una sorta di “puntura di spillo”, come proponeva nel 2004 il medico somalo Omar Abdelkadir, direttore del Centro Ospedaliero Careggi di Firenze ( si sollevò il polverone e poi non se ne parlò più, come spesso accade in Italia quando lo scoop è stato lanciato e la notizia non è più di moda). Si sono salvati capre e cavoli, insomma: non danneggiando, sembra, irreparabilmente le bambine, ma soprattutto salvaguardando la tradizione tribale e patriarcale fatta propria e portata avanti dall’islam, tuttavia presente anche tra cristiani, ebrei ed animisti africani.
Però dovrebbe essere evidente che, anche con la “puntura di spillo”, anche con la “mutilazione di pochi millimetri”, è il principio dell’inviolabiltà del corpo della donna e in particolare della bambina, che viene colpevolmente calpestato in questo caso, in nome di un becero multiculturalismo, islamicamente corretto, buonismo, relativismo e compagnia bella.
Perché non importa quanto una bambina o una donna siano infibulate. Non importa se si tratta di circoncisione o infibulazione as-sunnah (basata cioè sulla Sunnah, fatti e detti di Maometto e quindi pratica da lui permessa), la quale comporta “solo” l’asportazione della parte alta del clitoride con fuori uscita di 7 gocce di sangue simboliche (come sembra il caso delle due bambine nigeriane in Veneto); non importa se si tratta della cosiddetta “escissione al-wasat”, che comporta l’asportazione totale del clitoride e taglio totale o parziale delle piccole labbra; non importa se tale pratica prevede l’infibulazione vera e propria (o circoncisione faraonica o sudanese): asportazione della clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra vaginali con cauterizzazione, cui segue la cucitura della vulva, lasciando aperto solo un foro per permettere la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale; o ancora se comprende una serie di interventi di varia natura sui genitali femminili. Si tratta sempre di infibulazione comunemente intesa, di bambine e poi donne mutilate nel corpo e nello spirito,perché viene impedito loro di provare il normalissimo piacere durante i rapporti sessuali, considerato impuro se è “lei” a provarlo, e facendo sì che solo l’uomo provi godimento su quel corpo mutilato, che lui e la società considerano di sua proprietà.
È comune, con quest’aberrante pratica, il rischio immediato di emorragie, a volte mortali, infezioni e shock; a lungo termine invece, è facilissima la formazione di cisti e, nelle gestanti e nelle partorienti, l’infibulazione può anche portare alla morte della madre o del nascituro.
Fonte: http://www.iljester.it

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